sabato 11 luglio 2015

Pignoramento della prima casa: possibile?

 

ipoteca sulla casa la guida

Prima casa non pignorabile solo da Equitalia, mentre lo resta nei confronti delle banche e degli altri creditori privati.

Pignoramento della prima casa, sì o no? Si è riaperto, in questi giorni, il dibattito in Parlamento sulla pignorabilità dell’abitazione principale (o unica) dei debitori in caso di esecuzioni forzate immobiliari. Questo perché alcune forze politiche, in considerazione della crisi economica, hanno richiesto un impegno del Governo ad emanare una legge che vieti, o quanto meno sospenda per un tempo prestabilito (si era parlato di 36 mesi), le procedure espropriative nei confronti dei debitori di banche per mutui ipotecari, quando le condizioni del nucleo familiare non consentano di sostenere la rata. Si è fatto riferimento ai nuclei familiari numerosi in situazione di temporanea insolvenza. L’Esecutivo si è impegnato ad analizzare la proposta, ma non risulta nulla in cantiere allo stato attuale, per cui tutto rimane come prima. Ecco, quindi, allo stato attuale la disciplina sulla possibilità, da parte dei creditori, di pignorare la prima casa.

Se il creditore è Equitalia

In tal caso il pignoramento della prima casa è vietato a condizione che l’immobile:

– sia destinato ad uso abitativo del debitore (e quindi accatastato nella categoria A, escluso A/10);

– il debitore vi risieda anagraficamente;

– non sia “di lusso”: si considera di lusso l’immobile (fra quelli a destinazione abitativa) che sia classificato in catasto nelle categorie A/8 e A/9 [1].

Se il debitore risulta avere altre abitazioni, il pignoramento è possibile solo se il debito con Equitalia supera 120.000 euro.

Un’eventuale azione esecutiva immobiliare in violazione dei suddetti limiti sarebbe illegittima.

Se il creditore è una banca o un altro soggetto privato

In questo caso non vi è alcun limite al pignoramento della prima casa e ben può il creditore procedere all’esecuzione forzata e alla vendita all’asta anche per un debito minimo (non esistono, infatti, limiti minimi per poter procedere all’esecuzione forzata immobiliare).

Non vi sono neanche eccezioni previste se il titolare dell’abitazione, o un familiare convivente, è portatore di handicap o vive in particolari condizioni di disagio fisico o economico.

L’unica novità in materia, a favore del debitore, è stata inserita con la riforma della giustizia di fine 2014 [2]: in pratica, si è previsto che tutte le volte in cui l’immobile, benché messo all’asta in una procedura esecutiva immobiliare, non venga venduto nonostante la ripetizione degli esperimenti, e quindi non sia più possibile “conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo”, il pignoramento immobiliare va chiuso anticipatamente e il debitore torna nella piena disponibilità del bene (leggi a riguardo: “Novità pignoramento casa: se non si vende all’asta l’esecuzione termina”). Questo discorso, inoltre, non vale solo per la prima casa, ma anche per qualsiasi altro immobile.

Note

[1] O che rispondano ad una delle descrizioni riportate nel DM 2 agosto 1969 e qui di seguito descritte:

– Le abitazioni realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a “ville”, “parco privato” ovvero a costruzioni qualificate dai predetti strumenti come “di lusso”.

– Le abitazioni realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici, adottati od approvati, prevedono una destinazione con tipologia edilizia di case unifamiliari e con la specifica prescrizione di lotti non inferiori a 3000 mq., escluse le zone agricole, anche se in esse siano consentite costruzioni residenziali.

– Le abitazioni facenti parte di fabbricati che abbiano cubatura superiore a 2000 mc. e siano realizzati su lotti nei quali la cubatura edificata risulti inferiore a 25 mc. v.p.p. per ogni 100 mq. di superficie asservita ai fabbricati.

– Le abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq. di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq.

– Le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale avente superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed aventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta.

– Le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine).

– Le abitazioni facenti parte di fabbricati o costituenti fabbricati insistenti su aree comunque destinate all’edilizia residenziale, quando il costo del terreno coperto e di pertinenza supera di una volta e mezzo il costo della sola costruzione.

[2] Art. 164 bis DL n. 132 del 12.09.2014 conv. in legge n. 162 del 10.11.2014.

Autore immagine: 123rf com

Abuso edilizio: quando si prescrive?

 

Abuso edilizio quando si prescrive

Quali sono i termini di prescrizione del reato di abuso edilizio, della sanzione amministrativa ed entro quanto tempo il Comune può ordinare la demolizione dell’opera.

Una costruzione abusiva, ossia costruita senza titolo edilizio (permesso a costruire) dà luogo contemporaneamente tanto ad un reato (abuso edilizio) quanto ad un illecito amministrativo. Il reato è soggetto a prescrizione nei termini che a breve diremo, mentre invece l’illecito amministrativo non si prescrive mai. Ne consegue che il Comune potrebbe ordinare la demolizione del manufatto abusivo (si tratta, infatti della sanzione a carattere amministrativo), mentre diversa risposta potrebbe essere data da un punto di vista penalistico, essendo probabile, dopo il decorso di quattro o cinque anni, che il reato edilizio sia prescritto.

PRESCRIZIONE DEL REATO

Si tratta di una contravvenzione punita con arresto o ammenda [1]. Il reato si prescrive:

in 4 anni dal compimento dell’illecito se, da tale momento, non ci sono stati atti interruttivi della prescrizione (cosiddetta prescrizione breve);

– in 5 anni dal compimento dell’illecito (cosiddetta prescrizione ordinaria) se c’è stato un atto interruttivo come, ad esempio, il decreto di citazione a giudizio [2]). Art. 161 cp. Elenco tassativo

Da quando decorrono i termini

Di solito nel caso di abuso edilizio si ha sempre un accertamento e sequestro. In tal caso è da tale momento che iniziano a decorrere i suddetti termini.

Se invece viene fatto un controllo senza tuttavia apposizione di sigilli, il reato si considera permanente, per cui perdura fino alla sentenza di primo grado. In tal caso, dunque, la prescrizione è di 5 anni dalla sentenza di primo grado.

Se nessuno dice nulla?

Il momento in cui si consuma di tale reato ha inizio con l’avvio dei lavori e perdura per tutto il tempo di realizzazione, sino all’effettiva cessazione dell’attività edificatoria abusiva.

Inoltre, secondo la Cassazione, la cessazione di tale attività abusiva si avrà con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera. È da tale momento che decorrono i termini se non interviene l’autorità.

Mettiamo che Tizio compia oggi un abuso edilizio e nessuno se ne accorge. Tra 50 anni, il vicino invidioso fa una segnalazione alle autorità dell’opera abusiva in questione. In tal caso inizia il procedimento penale, e se Tizio riesce a dimostrare che il manufatto è stato costruito 50 anni fa, per lui scatterà la prescrizione.

ILLECITO AMMINISTRATIVO

Come detto, l’abuso edilizio è parallelamente non solo un reato, ma anche un illecito amministrativo (che può portare anche alla demolizione dell’opera, ma non certo alla sanzione penale). Con riferimento ad esso, invece, la prescrizione non scatta mai.

Per giurisprudenza costante l’esercizio dei poteri amministrativi repressivi in materia di abusi edilizi non incontra alcun termine di decadenza o di prescrizione [3].

Ne discende che la irrogazione della sanzione amministrativa della demolizione di opere abusive non incontra limiti di prescrizione e, quindi, una volta che venga accertata l’esistenza dell’opera abusiva, è legittima l’adozione del provvedimento di demolizione [4].

In tali evenienze si esige, però, che l’amministrazione comunale dia conto puntualmente delle ragioni di pubblico interesse che depongono per la demolizione del fabbricato, diverse da quelle finalizzate al mero ripristino della legalità, tenendo peraltro in debita considerazione gli interessi privati maturati nel frattempo. Il decorso del tempo, in altri termini, oltre a produrre gli effetti che l’ordinamento riconosce e consacra dando vita a istituti ampiamente disciplinati in ogni settore del diritto, ivi compreso l’ordinamento amministrativo, determina l’esigenza di motivare in modo più forte i provvedimenti di natura repressiva [5].

Natura del reato

Si tratta di una contravvenzionale a forma libera, in quanto può essere realizzata attraverso qualunque condotta diretta alla realizzazione di opere edili.

Possono essere chiamati a rispondere del reato il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore. Oltre ad essi possono essere considerati responsabili anche coloro che, pur non rivestendo nessuna di tali qualifiche, abbiano contribuito con la loro condotta alla consumazione del reato e, pertanto, alla realizzazione dell’opera edilizia abusiva [6]: ad esempio, l’esecutore materiale dei lavori, anche se muratore od operaio, o il proprietario o il comproprietario, non formalmente committente delle opere abusive, avendo lo stesso un potere di veto sull’esecuzione di opere non assentite sull’area in comunione.

Note

[1] Art. 44 Dpr 380/01.

[2] Art. 160 cod. pen: altri atti interruttivi della prescrizione sono la sentenza di condanna, il decreto di condanna, l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto, l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.

[3] Cons. St. sent. n. 2529/2004 e n. 4607/2009.

[4] Tar Emilia Romagna Bologna sent. n. 116/2003.

[5] Tar Campania, Napoli, sent. n. 532/2009.

[6] Cass. sent. n. 11093/2010.

Autore immagine: 123rf com

Immobili pubblici, la riqualificazione energetica farebbe risparmiare il 40% dei consumi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

06/07/2015 – La riqualificazione energetica degli edifici pubblici consentirebbe un risparmio pari a più di 240 milioni di euro. È la sintesi tracciata dall’Enea, che ha fornito una panoramica sulle condizioni degli immobili pubblici.   Riqualificazione energetica degli edifici della PA Secondo l’Enea, gli edifici della Pubblica amministrazione sono oltre 13 mila. I loro consumi ammontano a 4,3 TWh, per un costo pari a 644 milioni di euro annui.   La parte più energivora è rappresentata dal 20% circa degli edifici, che consumano 1,2 Terawattora e costano 177 milioni di euro all’anno.   Gli interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti consentirebbero una riduzione dei consumi di circa il 40%, con un risparmio di 73 milioni di euro all’anno. Per realizzarli servirebbe un investimento di più di un miliardo di euro.   Riqualificazione energetica delle scuole Prendendo in esame la condizione..
Continua a leggere su Edilportale.com

Nomisma: la ripresa stenta a decollare e un aspirante acquirente su tre non ottiene ancora il mutuo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«La ripresa del settore immobiliare stenta a decollare. L'evidente miglioramento del clima di fiducia fatica a tradursi in una dinamica espansiva delle compravendite. A frenare la...

Nomisma: la ripresa stenta a decollare e un aspirante acquirente su tre non ottiene ancora il mutuo
Emiliano Sgambato
Thu, 09 Jul 2015 07:58:22 GMT

Affitti brevi: quanto rende quella stanza che avanza

 

La crescita silenziosa degli affitti brevi: ecco quanto rende affittare la stanza “che avanza” La crisi economica ha lasciato il segno anche nelle modalità abitative del nostro Paese. In silenzio,[...]

L'articolo Affitti brevi: quanto rende quella stanza che avanza sembra essere il primo su Casa.it.

 

Affitti brevi: quanto rende quella stanza che avanza
Giuseppe Serrago
Thu, 02 Jul 2015 15:59:18 GMT

Cedolare, stangata sugli affitti in nero

 

cedolare-secca
Il decreto attuativo delle riforme fiscali raddoppia le sanzioni per coloro che non indicano nella dichiarazione dei redditi il canone di locazione ricevuto. Mentre attua degli sconti per coloro che commettono piccoli errori. Allo stesso tempo però le cartelle di Equitalia diventano più leggere, con possibilità negli anni avvenire di calare ulteriormente i costi di riscossione.

Le sanzioni

In base a quanto riportato dal Sole 24 Ore le penalità per coloro che commettono degli sbagli di calcolo caleranno dal 30% al 15%, se la quota verrà versata entro 90 giorni dalla data di scadenza. E la convenienza sarà maggiore per coloro che faranno ravvedimento operoso entro 15 giorni. La riduzione però avverrà solamente se l’importo non supera i 30 mila euro e nel limite del 3%.

In base poi alle riforme delle sanzioni penali è stato introdotto l’aumento fino a 250 mila euro della soglia di non punibilità per gli omessi versamenti Iva, mentre fino ad oggi il limite era a 50 mila euro. Un’altra novità si trova anche all’interno delle sanzioni amministrative. Quelle edittali oggi comprese tra il 100% e il 200% dell’imposta dovuta, scenderebbero in un range tra il 90% e il 180%. Ma nel caso in cui l’imposta  sia la cedolare secca sugli affitti, la sanzione verrebbe raddoppiata, fino ad un massimo del 360%. Poiché essendo un regime fiscale agevolato la sensazione viene ritenuta particolarmente grave.

Le cartelle diventano più leggere

Sul fronte della riscossione l’aggio incassato da Equitalia scende dall’8 al 6%, con la possibilità di calare ulteriormente. Così il compenso della società sarà legato ai costi sostenuti dalla stessa, con l’obbligo di presentare annualmente un piano di efficientamento per ridurli. Ciò permette anche di poter richiedere, per chi si trova in difficoltà, una dilazione del pagamento fino ad un massimo di 72 rate, non solo sui ruoli di Equitalia ma anche sugli atti di accertamento dell’Agenzia dell’Entrate.

Prima casa: mutui sospesi e senza interessi

 

prima-casa-sospensione-mutuo

Il Collegio di coordinamento dell’Arbitro bancario finanziario (Abf) ha stabilito che la sospensione del mutuo, per l’acquisto della prima casa, deve essere a “costo zero”.

La Finanziaria e il Fondo di Solidarietà

In base a quanto fissato dalla Finanziaria del 2008 colui che ha contratto un mutuo per l’acquisto di una casa, da adibire a prima abitazione, se non riesce a far fronte alle spese può chiedere la sospensione del pagamento delle rate per due volte, e in un periodo complessivo di diciotto mesi.

Dopodiché interviene il Fondo di Solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, che sostiene i costi relativi agli interessi maturati sul debito residuo, durante il periodo della sospensione. Ripagando così alla banca il tasso di interesse applicato al mutuo, con esclusione dello spread.

La sospensione del mutuo non provoca oneri

L’Associazione bancaria Italiana (Abi) aveva però dato la possibilità alle banche, che concedono il mutuo, di poter addebitare al cliente gli interessi maturati nel periodo di sospensione. Ad oggi invece, l’Arbitro bancario finanziario ha ribadito che la sospensione del mutuo non può provocare oneri. L’unica possibilità che resta in piedi per le banche è quella di inserire nel contratto il rimborso dello spread a carico del cliente.

Chi può usufruire del Fondo di Solidarietà

Il Fondo di Solidarietà è stato rifinanziato con 20 milioni di euro per il 2015 e si rivolge a coloro che hanno subito una:

  • cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
  • cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato;
  • cessazione dei rapporti di lavoro parasubordinato, o di rappresentanza commerciale o di agenzia
    (art. 409 n. 3 del c.p.c.);
  • morte o riconoscimento di grave handicap ovvero di invalidità civile non inferiore all’80%.

Dal giorno della presentazione della domanda la banca interrompe il conteggio del ritardo del pagamento delle rate, che non può essere comunque superiore ai novanta giorni consecutivi, pena l’esclusione della domanda. Dopodiché la banca trasmette la richiesta a Consap entro dieci giorni lavorativi ed entro quindici giorni concede l’autorizzazione alla sospensione.

Infine la banca, entro cinque giorni, può informare il mutuatario dell’esito dell’istruttoria ed entro trenta giorni dalla comunicazione positiva di Consap, sospende il pagamento dell’ammortamento del mutuo.

Tassi per i mutui della prima casa: guida ad una difficile scelta

 

Fare un mutuo per una prima casa resta una scelta importante e scegliere i tassi lo è forse ancora di più. L’unico modo per poter dirigersi verso una proposta conveniente è sicuramente quello di confrontare le varie opzioni offerte dalle banche. Non fermarsi quindi al primo istituto di credito, o a quello in cui si detiene il proprio conto bancario.  Ma in Italia ad oggi qual è la situazione del mercato e quali sono le scelte degli italiani?

La situazione attuale in Italia

“I tassi fissi ad oggi vanno dal 2,96% al 3,40%, ma la maggior parte si concentra fra il 3% e il 3,20% – ha riferito Roberto Anedda, direttore marketing di Mutuionline.it- . “Per quanto riguarda il variabile, si prende in considerazione quasi esclusivamente lo spread, perché l’Euribor è quasi a zero: andiamo quindi dall’1,54% al 2,01%”.

tassi mutui prima casa

Così nei prossimi due anni i tassi dovrebbero rimanere stabili a un livello molto basso. “Si prevede un aumento massimo di un punto da qui a cinque anni” continua Aneddda.

“Per quel che concerne i soli spread bancari, invece, c’è margine per un’ulteriore riduzione.

Ci aspettiamo che entro la fine dell’anno si possa arrivare nell’area fra 1,40 e 1,50%. Solo a quel punto sarà difficile immaginare nuovi tagli”.

Tasso fisso o variabile? Cosa scelgono gli italiani?

Nel 2015, in base ad una recente notizia riportata dal Sole24ore, il tasso fisso ha superato quello variabile (43,9%), con una percentuale del 52,5%. Lasciando il restante al tasso misto (3,8%) e a quello variabile con cap (1,6%). Questo trend è determinato dalle surroghe, che permettono di trasferire il proprio mutuo da una banca all’altra modificando i parametri (durata e tasso) senza variare il debito residuo. E proprio i mutui erogati con surroghe sono a tasso fisso.

Alcuni però spostano anche il proprio tasso da fisso a variabile, grazie ai tassi bassi che hanno azzerato gli indici interbancari a cui è agganciato il mutuo a tasso variabile. Così quest’ultimo può essere aggiudicato con un tasso di interesse poco superiore all’1,5%.

Confronto tra mutui

Dopo una panoramica su quelle che sono le offerte odierne e le scelte tra il tasso fisso e variabile, sul web è possibile anche accedere a portali che permettono di confrontare i mutui, al fine di optare per una scelta maggiormente conveniente per le proprie necessità.

mercoledì 8 luglio 2015

Maxi sanzioni in arrivo per chi affitta in nero.


La cedolare secca torna ad essere un'arma contro gli affitti in nero. L'ultimo Consiglio dei Ministri ha raddoppiato le sanzioni per chi opta per il regime fiscale agevolato ma, in dichiarazione dei redditi, non indica l'intero importo percepito. La novità è contenuta nel decreto attuativo della riforma fiscale.

AFFITTASI IN NEROSanzioni in arrivo fino al 360% per chi aderisce alla cedolare secca ma non indica nella dichiarazione dei redditi l'intero importo o parte del canone effettivamente percepito dall'immobile concesso in locazione. E' questa una delle novità introdotte dal decreto attuativo della riforma fiscale approvato venerdì scorso dal Governo. Secondo il quotidiano romano Il Messaggero, l'evasione è considerata un comportamento particolarmente grave in questo caso poiché viene effettuato all'interno di un regime fiscale agevolato.


Le sanzioni penali introdotte prevedono diversi gradi di responsabilità e di punibilità. Per i piccoli errori nei versamenti sono previsti degli sconti: i tecnici del Governo hanno evidentemente cercato di scindere quelle casistiche che, sebbene illegali, siano state causate da comportamenti disattenti e non fraudolenti. Ad esempio nei casi di errore nella compilazione della dichiarazione la multa viene dimezzata (dal 30 al 15%) se il contribuente paga il dovuto entro i 90 giorni dalla scadenza, ma correggendo la svista entro i primi 15 giorni la convenienza sarà ancora maggiore. Mentre il contribuente che addebita per errore costi o ricavi all'anno sbagliato dopo la riforma sarà tenuto a pagare una sanzione fissa di 250 euro.

Nei casi di comportamenti fraudolenti le sanzioni sono state maggiorate. Come dicevamo, potrà arrivare fino al 360% la multa prevista per chi non dichiara l'intero importo mensile ricevuto dall'inquilino, essendo in regime di cedolare secca. Per quanto riguarda la frode fiscale, invece, la pena rimane quella vigente: fino a sei mesi di carcere, ma sotto i 30 mila euro di imposta evasa non è considerata frode fiscale.

domenica 5 luglio 2015

Restyling per la vetrinetta del soggiorno

 

La necessità di rinnovare il look di un mobile e quindi della stanza che lo ospita, trasformandolo in un ambiente più fresco e moderno, può portare a rivisitare arredi preesistenti, rigenerandoli nell’aspetto e, a volte, nella funzione. Come nel caso della vetrinetta in legno massello in una finitura passata di moda, che ha trovato nuova vita ed una nuova funzione diventando “total white” e sistemata all’interno di una quinta di ingresso, a protezione della privacy.

Dopo aver eliminato dalla struttura ante e cerniere, si è proceduto a carteggiare manualmente e delicatamente tutte le superfici laterali del mobile, in modo da prepararle all’applicazione della nuova vernice. Rimossa la polvere, con l’ausilio di un compressore sono state verniciate tutte le superfici lisce e gli intarsi laterali con uno smalto bianco all’acqua effetto lucido, pensato per aumentare la luminosità e il senso di ampiezza del piccolo spazio d’ingresso. Per un’uniforme colorazione si sono passate tre mani di vernice facendo attenzione ai tempi di asciugatura tra una mano e l’altra.

La totale trasformazione della vecchia vetrinetta ha portato alla realizzazione di un singolare mobile d’ingresso appoggiato direttamente al pavimento, dotato di sottili piedi regolabili e di un pannello retrostante, a sostituzione del preesistente fondo in legno, in grado coprire i 2,50 metri di lunghezza dello spazio ad esso destinato e verniciato dello stesso smalto sulla sola superficie visibile dall’ingresso stesso.

Il design e la funzionalità di due contemporanei e ricercati appendiabiti in acciaio cromato hanno fatto il resto, permettendo di organizzare all’interno giacche e soprabiti in armonia con un portaombrelli e un singolare supporto di vetro per borse, portapc… Modernità e dimensioni ridotte sono stati esaltati da due grandi specchi interni, incollati sul pannello di fondo, che con i loro riflessi hanno reso più vivace l’intero ambiente.

A chiusura dell’intervento di restyling, è stato posto un elegante vetro a protezione del piano, dove piccoli oggetti, chiavi e telefono sono sempre a portata di mano. Per ravvivare e personalizzare lo spazio, si è scelto di completare la quinta di separazione con un sistema di mensole sospese su cavetti d’acciaio fissati al soffitto, illuminato dall’alto da tre faretti incassati in vetro con lampade led, il tutto all’interno di una calda ed accogliente atmosfera creata dalla luce indiretta del led, incassato nella nuova controsoffittatura.

”rivisitazione” dei loro vecchi oggetti, mi aiuta a sensibilizzare all’idea di un riuso funzionale, creativo e divertente  e soprattutto a convincere che il “bello” non sta sempre nell’ oggetto alla moda, ma anche in un oggetto che ci appartiene e che si trasforma con il nostro gusto e amore.

Clicca sulle immagini del PRIMA per vederle fullscreen

cosedicasa_ingresso_PRIMA_0 cosedicasa_ingresso_PRIMA_1 cosedicasa_ingresso_PRIMA_2 cosedicasa_ingresso_PRIMA_3 cosedicasa_ingresso_PRIMA_4 cosedicasa_ingresso_PRIMA_5

Clicca sulle immagini del DOPO per vederle fullscreen

cosedicasa_ingresso_DOPO_0 cosedicasa_ingresso_DOPO_1 cosedicasa_ingresso_DOPO_2 cosedicasa_ingresso_DOPO_3 cosedicasa_ingresso_DOPO_4 cosedicasa_ingresso_DOPO_5 cosedicasa_ingresso_DOPO_particolare cosedicasa_ingresso_DOPO_particolare2

sabato 4 luglio 2015

Distaccato dall’impianto centralizzato: le spese del condominio

 

Riparazione impianto termico sempre a carico del padrone di casa

Che oneri deve sopportare il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale dopo che si sia distaccato dall’impianto unico di riscaldamento?

È assai frequente, soprattutto negli ultimi anni, il fenomeno del distacco dei condomini dagli impianti centralizzati condominiali di riscaldamento o condizionamento.

Indubbi motivi economici, connessi al risparmio dei consumi energetici, inducono molti proprietari a scegliere la via del distacco che, però, pone diversi problemi soprattutto con riferimento alle modalità attraverso le quali il distacco deve avvenire e ai costi che chi si distacca sarà comunque tenuto a sopportare anche dopo il distacco.

Diciamo innanzitutto che la legge [1] stabilisce che il singolo condomino possa rinunciare all’utilizzo degli impianti centralizzati del riscaldamento o del condizionamento a condizione che venga dimostrato:

– che il distacco non provocherà aggravi di spesa per gli altri condomini,

– oppure notevoli squilibri nel funzionamento dell’impianto.

A queste due condizioni, quindi, chi si distacca potrà farlo, ma resterà obbligato per il futuro alle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la conservazione e messa a norma dello stesso.

Ma quali sono nel dettaglio le spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto di riscaldamento o condizionamento e per la conservazione e messa a norma dello stesso alle quali il condomino che si distacchi sarà tenuto a concorrere anche dopo che il distacco sarà avvenuto?

Lo chiarisce la legge [2] secondo la quale:

per manutenzione dell’impianto termico si devono intendere tutti quegli interventi finalizzati a far funzionare lo stesso così come è previsto dal progetto originario e/o dalla normativa vigente attraverso mezzi, attrezzature, strumenti, riparazioni, ricambi, ripristini, revisioni o sostituzioni di apparecchi o componenti.

E per “conservazione”, invece, cosa si deve intendere?

In questo caso ci viene in soccorso non la legge, ma la giurisprudenza [3] secondo cui possono considerarsi:

– spese di conservazione tutte quelle che servano a conservare, appunto, l’integrità del bene attraverso la sua manutenzione ordinaria o straordinaria e le necessarie riparazioni.

Infine, per:

– “messa a norma” si devono intendere tutti quegli interventi che sono realizzati perché lo impone la legge.

Chiarito, quindi, quali siano le spese per manutenzione straordinaria, conservazione e messa a norma dell’impianto centralizzato che il condomino che si è distaccato dovrà comunque sopportare anche dopo il distacco, si pone un’ulteriore problema. Se successivamente dovessero distaccarsi altri condomini, il condomino che già si sia distaccato sarà tenuto o no a partecipare alle spese per la trasformazione dell’impianto centralizzato negli ulteriori impianti autonomi singoli?

La risposta è semplice: il condomino già distaccato sarà tenuto a pagare quelle spese che si riferiscano all’impianto centralizzato (ad esempio: smontaggio e conferimento nei rifiuti delle parti smontate), ma non quelle relative ai nuovi impianti singoli da realizzarsi a seguito dei successivi distacchi.

Note

[1] Art. 1118, comma 4°, cod. civ.

[2] Art. 1, lettera i), d.p.r. n. 412 del 1993.

[3] Cass., sent. n. 5.974/2004.

Se il conduttore smette di pagare l’affitto per cause del padrone di casa

 

Affitto IMU e TASI cosa paga inquilino

L’inquilino non può autoridursi il canone della locazione per la presenza di vizi dell’immobile, che lo rendono inutilizzabile rispetto a quanto concordato nel contratto con il locatore.

Se l’inquilino ritiene che si sia realizzata, per qualsiasi causa, una diminuzione delle qualità dell’immobile preso in affitto – per esempio, per un vizio del bene o per la mancata manutenzione da parte del proprietario – non può smettere, solo per questo, di pagare il canone di affitto mensile. Lo può fare solo se espressamente autorizzato dal giudice a seguito di una causa (volta ad accertare l’inadempimento contrattuale del locatore) o nei casi in cui manchi completamente la controprestazione.

Viceversa, l’inquilino che abbia subito una diminuzione nel godimento del bene locato non può decidere, di propria spontanea volontà, la riduzione del canone di affitto, anche perché per liquidare la relativa misura del danno c’è sempre bisogno di un accertamento giudiziale.

Lo ha detto il Tribunale di Palermo in una recente sentenza [1].

Il caso è quello di una società che aveva preso in affitto un magazzino, a uso commerciale, per vendita di autoricambi. Senonché il piazzale antistante il locale, su cui i clienti erano soliti sostare per le riparazioni, era stato poi utilizzato dal condominio per posti auto dei condomini, sottraendone di fatto la disponibilità al conduttore.

Note

[1] Trib. Palermo sent. n. 140 del 14.01.2015.

Tettoia: obbligatorio il permesso a costruire altrimenti è reato

 

Tettoia- obbligatorio il permesso a costruire altrimenti reato

Anche dopo la riforma del 2014, il cosiddetto Piano Casa, è necessario il titolo edilizio rilasciato dal Comune per costruire la tettoia ancorata al muro.

La tettoia ancorata al muro richiede il permesso a costruire rilasciato dal Comune: e ciò nonostante le modifiche intervenute l’anno scorso il con cosiddetto “Piano Casa [1] che ha liberalizzato la materia degli interventi sulla casa. Senza il titolo edilizio, infatti, scatta allora il reato di abuso edilizio per la costruzione del manufatto privo di autorizzazione. Lo ha chiarito la Cassazione in una recente sentenza [2].

Secondo la Corte, la tettoia si considera un intervento di nuova costruzione che amplia il volume dell’edificio, posizionando una struttura frangisole (nel caso deciso dai giudici si trattava di un manufatto di 35 metri quadrati, costituito da lamelle in alluminio e poggiante su sei travi in legno ancorate al muro).

Inutile, per l’imputato, sostenere che la tettoia non determini né un incremento volumetrico, né di superficie, tantomeno alteri il prospetto o la sagoma, anche per la facile amovibilità: non si tratta quindi di un intervento manutentivo, di quelli previsti nel testo unico per l’edilizia [3].

Al contrario, il nuovo Piano Casa definisce “nuove costruzioni” “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei turisti”.

In definitiva, la realizzazione di una tettoia non costituisce un semplice intervento di manutenzione straordinaria, né si configura quale pertinenza atteso che, in quanto parte integrante dell’edificio, ne costituisce ampliamento, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire.

Note

[1] Art. 10 ter della legge 80/2014.

[2] Cass. sent. n. 27575/2015.

[3] Dpr 380/01.

Vendita di immobile per sottrarsi alle tasse: non sempre c’è reato

 

Chi non paga i debiti oggi va in carcere

Sottrazione fraudolenta alle imposte: non scatta il reato se i proventi della vendita dell’atto ritenuto simulato vengono utilizzati proprio per pagare il fisco.

Chi vende i propri beni con lo scopo di non pagare le tasse (e quindi ponendo in essere un atto che, nella sostanza, è solo simulato, perché volto a frodare il fisco) si espone ad una incriminazione per “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”; tuttavia questo reato non scatta se le somme incassate a seguito di una vendita ritenuta simulata sono utilizzate per il pagamento di imposte anche se non si tratti di quelle oggetto dell’asserita sottrazione.

È necessario provare che la vendita sia avvenuta a prezzi inferiori con la conseguente volontà di sottrarsi al versamento.

È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1]. Infatti il reato di sottrazione fraudolenta dal pagamento delle imposte si caratterizza per la volontà specifica di sfuggire al fisco; quindi l’alienazione simulata, o il compimento di altri atti fraudolenti, devono essere finalizzati alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o di IVA oppure di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte. Pertanto, non può ritenersi esistente il dolo se, alla fine, il risultato economico dell’operazione posta dal contribuente con la vendita dell’immobile è andato a beneficio, e non a danno, dell’erario.

Note

[1] Cass. sent. n. 27143 del 30.06.2015.

Autore immagine: 123rf com

Pignoramento: il debitore custode paga i danni

 

Il pignoramento presso terzi di Equitalia

Esecuzione forzata: quando il debitore è nominato custode dei beni paga di nuovo i beni al creditore pignorante.

Di norma, quando l’ufficiale giudiziario pignora i beni del debitore, nomina quest’ultimo custode degli stessi: in pratica, questo vuol dire che non li preleva, non li asporta e li lascia, invece, là dove si trovano (salvo poi il successivo intervento dell’IVG, Istituto Vendite Giudiziarie, che li prende per il tempo necessario all’asta). Tanto vale, ad esempio, per l’automobile, ma anche per beni mobili di facile trasporto come gioielli, quadri, televisione; stesso discorso per i beni aziendali come un computer, qualche sedia, ecc. Insomma, il debitore viene considerato il “garante” dei suoi stessi beni, per cui, anche dopo l’intervento dell’ufficiale giudiziario e il pignoramento – ed anzi, a maggior ragione, proprio per questo – è tenuto ad amministrarli e a custodirli con la massima diligenza e attenzione. Non li deve quindi abbandonare, disperdere, usare, ma neanche fare in modo che essi perdano il proprio valore commerciale come nel caso di lasciarli in una cantina umida o all’aperto.

Ma che succede se il debitore-custode viene meno a questo proprio obbligo e non conserva, con le dovute precauzioni, i beni pignorati? La risposta viene fornita da una recente sentenza del Tribunale di Cagliari [1].

Il debitore che in seguito a pignoramento viene nominato custode dei beni oggetto dell’esecuzione forzata è tenuto a conservare e amministrare i beni pignorati con la dovuta diligenza. Se non lo fa è costretto a risarcire il creditore con una somma pari al valore dei beni stessi.

La vicenda

Al debitore erano stati pignorati una cella frigorifera e un forno professionale, del valore di 18mila euro. Egli ne era stato nominato custode, ma ciò nonostante li aveva lasciati all’aperto per oltre un anno e, per ciò, si erano deteriorati, finendo in tal modo per essere del tutto inutilizzabili.

Note

[1] Trib. Cagliari, sent. n. 634 del 25.02.2015.

Spese di manutenzione in una casa in affitto: chi deve sostenerle?

 

Spese di manutenzione in una casa in affitto chi deve sostenerle

Come si ripartiscono in base alla legge, tra proprietario, affittuario e terzi, le spese di riparazione necessarie in un appartamento concesso in locazione.

È da sempre oggetto di dispute e, spesso, anche di vere e proprie liti giudiziarie la questione della ripartizione delle spese di manutenzione relative ad appartamenti concessi in locazione.

Gli aspetti problematici, già complessi di per sé, tendono poi a complicarsi allorquando i danni che si producono nell’appartamento (dove il conduttore e la sua famiglia vivono) sono causati, o si sospetta siano stati causati, da soggetti terzi e cioè, come sovente capita, dai vicini.

Il frequentissimo problema si pone ad esempio nel caso in cui nell’appartamento concesso in locazione si manifestino infiltrazioni di umidità provenienti dall’appartamento sovrastante.

Qualora la responsabilità sia stata accertata al di là di ogni dubbio (ad esempio attraverso la perizia di un tecnico imparziale) e le infiltrazioni provengano da parti di proprietà esclusiva del condomino confinante, la regola fissata dalla legge [1] è che non spetti al proprietario-locatore garantire il conduttore e quindi intervenire per poi sopportare egli direttamente le spese per riparare ciò che le infiltrazioni hanno danneggiato.

Questa regola (che esonera il proprietario da obblighi di intervenire e pagare le spese per rimettere a nuovo l’appartamento concesso al locatore) è applicabile a condizione che il terzo danneggiante non pretenda di avere particolari diritti sull’appartamento danneggiato (come avviene, ad esempio, se il danneggiante pretendesse di avere egli diritto a godere dell’immobile danneggiato).

A queste condizioni, il conduttore ha la facoltà di agire direttamente contro il proprietario confinante (responsabile del danno) per ottenere da lui la riparazione delle parti dell’appartamento danneggiate a seguito delle infiltrazioni (spese per ritinteggiare le pareti, per riparare e/o sostituire eventuali mobili danneggiati dalle infiltrazioni e/o dall’umidità).

Nel caso, invece, in cui non siano coinvolti terzi, ma i problemi di manutenzione riguardino e interessino soltanto i rapporti tra proprietario e conduttore, allora le regole poste dalla legge [2] sono altre e prevedono che, in caso siano urgenti e non siano di piccola manutenzione, esse possano essere anticipate dal conduttore a condizione che ne abbia dato avviso al locatore (si pensi, ad esempio, alle spese per la sostituzione di una caldaia o di un impianto citofonico).

Nei casi, infine, in cui si tratti di piccola o ordinaria manutenzione (sostituzione, ad esempio di lampadine o mattonelle) le spese sono a totale carico del conduttore [3].

La legge in generale non stabilisce cosa sia piccola manutenzione (a carico del conduttore) e cosa sia invece manutenzione straordinaria o che comunque spetti al proprietario.

Un utile strumento, quindi, per orientarsi nella infinita casistica delle possibili opere di manutenzione e che stabilisce quali spese debba sopportare il proprietario e quali il conduttore è la tabella appositamente redatta [4] e disponibile con una semplice ricerca sulla rete (ad esempio consultando il sito del Ministero dello Sviluppo) che, pur essendo stata stilata per le locazioni a canone concordato, è utilizzabile per ogni tipo di affitto.

Note

[1] Art. 1585, comma 2°, cod. civ.

[2] Art. 1577, comma 2°, cod. civ.

[3] Art. 1587, cod. civ.

[4] Allegato g al decr. del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 30.12.2002.

Assegnazione di case popolari: non sempre il familiare ha diritto al subentro

 

Case popolari il figlio subentra al padre nella locazione

Alla morte dell’assegnatario dell’alloggio, il congiunto (o il convivente) può ottenere la voltura del contratto a proprio nome solo se faceva già parte del nucleo familiare originario.

Non basta la parentela o la convivenza di fatto con l’assegnatario di una casa popolare per poter subentrare nel godimento di tale bene alla sua morte: affinché, infatti, un terzo soggetto possa ottenere la voltura del contratto di assegnazione della casa popolare in proprio favore occorre che, prima del decesso, egli fosse stato già riconosciuto come membro del nucleo familiare di appartenenza dell’originario conduttore da un espresso provvedimento dell’ente concedente e gestore.

È quanto ha affermato di recente la Cassazione [1].

La vicenda

La pronuncia prende spunto dal caso della nipote dell’assegnatario di una casa popolare; questa si era opposta all’intimazione di rilascio dell’immobile di cui aveva avviato domanda di subentro subito dopo la morte del congiunto. L’istanza veniva respinta dai giudici di primo e secondo grado secondo i quali, ai fini del legittimo subentro della donna nel contratto, l’ente gestore doveva aver preso (o potuto prendere) atto dello stabile ampliamento del nucleo familiare dato dall’inserimento della nuova componente, prima della morte dell’originario assegnatario.

La sentenza

La Cassazione, aderendo alla decisione dei primi giudici, conferma la necessità che la p.a. abbia effettuato un preventivo riconoscimento dell’ampliamento del nucleo familiare del primo assegnatario dell’alloggio, dopo aver accertato la duratura presenza del soggetto nell’immobile locato e l’indole assistenziale della convivenza tra le parti [2]. Accertamento che – sottolineano i giudici – pure in assenza di specifici termini per la proposizione delle istanze di ampliamento e di subentro, così come per il compimento dal parte dell’ente concedente delle diverse verifiche e constatazioni a ciascuna di esse, richiede l’assenso dell’originario assegnatario.

Nello specifico, la Corte ha chiarito che per poter usufruire del beneficio previsto dalla legge, la presenza del soggetto nella casa popolare concessa in locazione deve essere comunicata in modo tempestivo alla pubblica amministrazione; questa è, di seguito, tenuta ad autorizzarla dopo aver riscontrato la costituzione di una convivenza stabile e duratura caratterizzata dalla solidarietà reciproca e dalla assistenza economica ed affettiva tra le parti.

In pratica

Alla morte dell’assegnatario di un immobile di edilizia popolare, il subentro e la voltura del contratto a favore di altra persona ( anche che si tratti di convivente o familiare) presuppone (insieme ad altre condizioni che la p.a. dovrà verificare) che questo facesse già parte del nucleo familiare originario, per come accertato dalla stessa p.a. In mancanza, la richiesta di subentro non potrà essere accolta.

Il consiglio, pertanto, è quello di evitare situazioni di mera coabitazione (magari scaturenti dalla necessità di assistere il congiunto) senza prima far tempestivamente verificare dalla pubblica amministrazione l’ampliamento del nucleo familiare e consentire a quest’ultima di riscontrare la sussistenza di una stabile e duratura convivenza. Ciò tanto più quando, in ragione dell’età o di condizioni di salute precarie dell’assegnatario dell’alloggio, sia maggiormente prevedibile un suo possibile decesso.

Nuovo stop alla riforma del catasto

 

Sembrava tutto pronto, come si dice in questi casi, l’approvazione e il varo dovevano essere ormai una pura formalità eppure qualcosa è andato storto e a pochi metri dal traguardo, la tanto attesa riforma del catasto si è bloccata e, cosa ancora più grave, non è ben chiaro quando e se riprenderà il suo cammino.

La riforma degli estimi catastali su cui tutto si basava, secondo le volontà del legislatore, si sarebbe dovuta compiere mantenendo inalterato il gettito fiscale; vale a dire che le tasse gravanti sugli immobili non dovevano in alcun modo aumentare. A conti fatti, pare, ciò però non era possibile e visto che il peso delle tasse che insistono sul mercato immobiliare è già piuttosto elevato, si è preferito, almeno per ora, soprassedere e mettere in panchina la tanto attesa riforma.

Nonostante le affermazioni del governo Renzi, molti degli operatori del settore immobiliare avevano già sostenuto l’impossibilità dell’invarianza fiscale una volta modificato il calcolo degli estimi, ma a convincere l’esecutivo pare siano state le simulazioni fatte dall’ Agenzia delle Entrate che, nei giorni scorsi, ha presentato a Matteo Renzi e ai suoi ministri un resoconto detagliato di ciò che, in termini numerici, avrebbe significato riformare il Catasto nei modi previsti e dichiarati fino a pochi giorni fa.

È dunque questo il motivo che, fra lo stupore di tanti (o forse di pochi) ha fatto sparire dall’ordine del giorno del consiglio dei ministri del 23 giugno 2015 la discussione del decreto attuativo che riguardava la delega fiscale in materia di immobili. Per adesso, quando mancano pochissimi giorni alla scadenza della delega, pare che la discussione venga rimandata a settembre, anche se in pochi credono che dopo l’estate si riuscirà a trovare una soluzione valida a mantenere inalterata la pressione fiscale sugli immobili.

Istat: tendenza al ribasso dei prezzi delle case

 

Nel primo trimestre 2015, sulla base delle stime preliminari, l’indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB) acquistate dalle famiglie sia per fini abitativi sia per investimento diminuisce dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e del 3,4% nei confronti dello stesso periodo del 2014.

Il 2015 si apre pertanto con una conferma della tendenza al ribasso dei prezzi delle abitazioni in atto da più di tre anni.

Come accade dagli inizi del 2013, anche nel primo trimestre dell’anno in corso la diminuzione tendenziale è dovuta sia ai prezzi delle abitazioni esistenti (-3,8%) sia a quelli delle abitazioni nuove (-2,0%).

affitto stanza3

Come risultato di questi andamenti, il differenziale in valore assoluto tra la variazione tendenziale dei prezzi delle abitazioni esistenti e quella dei prezzi delle abitazioni nuove si riduce a 1,8 punti percentuali, il minimo da quando è possibile calcolare la serie storica delle variazioni tendenziali dell’IPAB.

Anche il dato congiunturale conferma il quadro di generale ribasso dei prezzi. Quello registrato nel primo trimestre 2015 è infatti il quattordicesimo calo congiunturale consecutivo e per la prima volta è il risultato di una diminuzione dei prezzi delle abitazioni nuove (-1,0%) più ampia di quella delle abitazioni esistenti (-0,5%).

Con le stime preliminari del primo trimestre 2015 la diminuzione dei prezzi delle abitazioni rispetto al 2010 raggiunge il -13,7%. Alla riduzione concorrono sia le abitazioni esistenti, i cui prezzi, nello stesso periodo, sono scesi del 18,6%, sia le nuove per le quali si registra una variazione negativa dell’1,5%.

Certificazione energetica, approvato il nuovo Ape: debuttano le classi da A4 a A1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal 1° ottobre debutterà il nuovo Attestato di prestazione energetica: quali le principali novità La definizione di nuove modalità di calcolo della prestazione energetica e requisiti...

Certificazione energetica, approvato il nuovo Ape: debuttano le classi da A4 a A1
Dario Aquaro
Fri, 03 Jul 2015 14:53:49 GMT