giovedì 28 aprile 2016

Mutui prima casa a giovani e precari

 

Richieste per 808 milioni in un anno, il 58% dei mutui primi casa assistiti dal Fondo di Garanzia a giovani coppie: il monitoraggio ABI del primo anno di applicazione.

 

MutuiIl Fondo di garanzia per l’acquisto dell’abitazione principale funziona, con richieste per 808 milioni di euro in un anno, in larga parte per mutui prima casa: lo rivela il consueto report ABI, facendo il punto sullo strumento introdotto con la Legge di Stabilità 2014 e operativo dal febbraio 2015. Il Fondo Garanzia prima casa copre il 50% della quota capitale, fino a 250 milioni di euro, con una corsia preferenziale per le giovani coppie. Il mutuo può essere chiesto anche interventi di riqualificazione energetica.

L'obiettivo del Fondo è quello di garantire l'accesso ai mutui attraverso una dotazione da 550 milioni di euro che potrebbe garantire finanziamenti potenziali per 12-15 miliardi di euro. Le banche che utilizzano il Fondo non possono richiedere ulteriori garanzie ai mutuatari, oltre a quella ipotecaria. Il Fondo di garanzia per la casa, ricorda l'Abi, è controgarantito dallo Stato prevede il rilascio di garanzie a copertura del 50% della quota capitale dei mutui ipotecari (fino a 250.000 euro) erogati per l'acquisto, o la ristrutturazione per l'accrescimento dell'efficienza energetica, degli immobili adibiti a prima casa, con priorità di accesso per le giovani coppie o ai nuclei famigliari monogenitoriali con figli minori, nonché di giovani con contratti di lavoro atipico con età inferiore a 35 anni.

Sono proprio le giovani coppie ad avere utilizzato maggiormente questo strumento, con il 58% sul totale di mutui erogati. Le regioni in cui sono stati richiesti maggiori finanziamenti sono Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Sicilia e Lazio. Le richieste sono costantemente cresciute nel corso dell’anno: dalle 62 di marzo 2015 alle 450 dello stesso mese del 2016. L’ABI sottolinea l’obiettivo di potenziare lo strumento di garanzia con una dotazione di 550 milioni di euro, che potrebbe garantire finanziamenti potenziali per 12-15 miliardi di euro.

Fra i requisiti fondamentali: l’acquirente al momento della richiesta della garanzia non deve possedere altri immobili ad uso abitativo (a meno che non si tratta di case ereditate e in uso a titolo gratuito a genitori o fratelli). Sono escluse le abitazioni di lusso (categorie A1, A8 e A9).

Sono 142 le banche che hanno aderito al Fondo di Garanzia (il 70% degli sportelli) e che sono impegnate a diffondere le informazioni relative a questa possibilità di acquisto prima casa.  Le banche che utilizzano il Fondo non possono richiedere ulteriori garanzie ai mutuatari, oltre a quella ipotecaria. Sul sito della Consap è consultabile la lista delle banche, ed è possibile scaricare il modulo di domanda (che va presentato direttamente alla banca).

Crediti d’imposta 2016, ecco quelli da inserire nel 730

 

E’ tempo di dichiarazione dei redditi. Vediamo quali sono e come si calcolano i crediti d’imposta da inserire nel 730. Dal bonus di 80 euro all’Art bonus.

Bonus Irpef

Il bonus da 80 euro mensili è un credito d’imposta riconosciuto ai soggetti con redditi da lavoro dipendente ed assimilati, il cui reddito complessivo non supera i 26.000 euro.

Il reddito complessivo non comprende i redditi derivanti dall’abitazione principale e dalle relative pertinenze, ma comprende gli eventuali canoni di locazione derivanti da immobili soggetti alla cedolare secca.

Sono considerati assimilati ai redditi di lavoro dipendente:

– i redditi derivanti da cassaintegrazione, mobilità e disoccupazione;

– i redditi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.);

– i compensi corrisposti a soci di cooperative;

– le borse di studio;

– i compensi corrisposti da terzi;

– i capitali e le rendite periodiche corrisposte dai fondi pensione;

– i compensi a soggetti impegnati in lavori socialmente utili (L.S.U.);

– le remunerazioni dei sacerdoti.

Il bonus spetta in misura intera, pari a 960 euro, se il lavoratore ha un reddito superiore a 8.000 euro annui e inferiore a 24.000 euro e possiede 365 giorni lavorativi o assimilati.

Se il reddito è tra 24.000 e 26.000 euro, il credito spettante si calcola con la seguente formula: 960 × (26.000 – reddito complessivo): 2.000.

Se i giorni di lavoro sono inferiori a 365, il bonus deve essere rapportato alle giornate effettive di spettanza.

Il bonus è normalmente riconosciuto dal sostituto d’imposta, che riporta nella certificazione unica (Cu 2016) l’importo erogato al lavoratore. Se, in sede di dichiarazione dei redditi (730 o modello Unico), è rilevato che il credito spettante sia maggiore, o minore, il bonus viene conguagliato.

Bonus bebè

Il bonus bebè è quel beneficio riconosciuto per ogni figlio nato, adottato o in affido tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017. Non è un credito d’imposta, ma un assegno riconosciuto dall’Inps ai genitori che possiedono i seguenti requisiti:

– cittadinanza italiana, europea o di uno Stato extraeuropeo (in quest’ultimo caso l’interessato deve possedere un permesso di soggiorno di lungo periodo);

– residenza in Italia;

– convivenza con il figlio;

– Isee del nucleo familiare non superiore a 25.000 euro annui; il tetto massimo non deve essere superato per tutta la durata dell’assegno.

Per ogni famiglia è riconosciuto solo un bonus bebè pari a:

– 80 euro mensili, per le famiglie con Isee da 7.000 a 25.000 euro;

– 160 euro mensili, per le famiglie con Isee sino a 7.000.

Bonus per arbitrato o negoziazione

Il bonus per arbitrato o negoziazione è un credito d’imposta riconosciuto alle parti che hanno effettuato, nel 2015, una negoziazione assistita conclusa con successo o un arbitrato concluso con lodo.

Il credito è commisurato al compenso riconosciuto all’avvocato, sino a 250 euro, ed è comunicato alle parti dal Ministero della Giustizia entro il 30 aprile 2016. Le parti, per ottenere il  bonus, devono però aver fatto domanda al Ministero entro l’11 febbraio 2016.

Il credito può essere utilizzato non solo in sede di dichiarazione dei redditi, per diminuire l’imposta, ma anche in compensazione di debiti da saldare mediante il modello F24 (in quest’ultimo caso il contribuente deve essere titolare di reddito d’impresa o di lavoro autonomo).

Per chi indica il credito nella dichiarazione dei redditi, il rigo da compilare è:

– G11, per chi utilizza il modello 730;

– CR16, per chi utilizza il modello Unico.

Bonus mediazione

Un credito d’imposta viene riconosciuto anche per la mediazione, procedura alternativa al processo civile svolta da un terzo imparziale per la risoluzione di una controversia civile o commerciale.

Il credito riconosciuto in caso di successo della mediazione è commisurato al compenso corrisposto ai conciliatori, fino a concorrenza di  500 euro; in caso di insuccesso il credito è dimezzato.

Il bonus è riconosciuto dal Ministero della Giustizia entro il 30 maggio di ciascun anno: può essere fruito in sede di dichiarazione dei redditi o compensato tramite modello F24 per i soggetti titolari di redditi di lavoro autonomo e d’impresa.

Art bonus

L’art bonus è il credito d’imposta a cui il contribuente ha diritto per le donazioni in denaro effettuate a favore di determinate attività culturali, artistiche e di spettacolo a scopo di:

– manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici;

– interventi di sostegno di istituti e luoghi di cultura pubblici, fondazioni lirico-sinfoniche e teatri di tradizione;

– realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti a favore di enti pubblici che operano nello spettacolo.

Il bonus è pari al 65% della liberalità con le seguenti condizioni:

– tetto massimo pari al 15% del reddito imponibile del soggetto erogante;

– bonus fruibile in più quote: la prima tranche del credito deve essere indicata nella dichiarazione dei redditi dell’anno in cui è stata effettuata la donazione (rigo G9 del modello 730/2016 o rigo CR14 del modello Unico 2016);

– se la quota annuale supera le imposte dovute, l’eccedenza non è persa, ma può essere riportata nei periodi d’imposta successivi senza limiti di tempo.

Per le erogazioni in denaro a favore di attività diverse da quelle sopra indicate, come l’acquisto di beni culturali, è prevista una detrazione del 19%.

School bonus

Lo school bonus è un credito d’imposta previsto per le liberalità effettuate a favore degli istituti di ogni ordine e grado, pubblici e privati paritari. L’erogazione in denaro deve essere finalizzata alle seguenti attività:

– realizzazione di nuove strutture scolastiche;

– ristrutturazione, miglioramento e manutenzione delle strutture scolastiche già esistenti;

– interventi di potenziamento dell’offerta formativa e di miglioramento dell’occupabilità degli studenti.

Il credito d’imposta viene calcolato su un ammontare non superiore a 100.000 euro per ciascun anno d’imposta ed è pari al:

– 65% della liberalità, se effettuata  negli anni 2016 o 2017;

– 50% della liberalità, se effettuata nel 2018.

Lo school bonus può essere fruito in alternativa alla detrazione del 19% prevista per le erogazioni in denaro a favore delle scuole e delle università.

Bonus sicurezza

Il contribuente che installa sistemi di videosorveglianza digitale o di allarme nella propria abitazione, o che stipula contratti con istituti di vigilanza per prevenire attività criminali, ha diritto a un credito d’imposta, previsto dalla legge di Stabilità 2016.

Bonus mobili, bonus ristrutturazione ed ecobonus

I bonus per interventi di ristrutturazione, per l’acquisto di arredi e grandi elettrodomestici e per il miglioramento dell’efficienza energetica sono delle detrazioni, non dei crediti d’imposta. Le detrazioni sono pari al:

– 50% dei costi, fino a un tetto massimo di 96.000 euro, da ripartire in 10 quote annuali, per gli interventi di ristrutturazione;

– 65% dei costi per il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici;

– 50% dei costi sostenuti per l’acquisto di arredi e grandi elettrodomestici, fino a un tetto massimo di 10.000 euro, se acquistati in occasione di un intervento di ristrutturazione, o di 16.000 euro, se la spesa è sostenuta in occasione dell’acquisto della prima casa per le giovani coppie.

domenica 24 aprile 2016

La casa ideale? Si trova al decimo tentativo. Il 38% la sceglie in un mese, il 18% ci mette più di 6 mesi

 

    (Alamy Stock Photo)

 

In quanto tempo si riesce a trovare la casa dei propri sogni? Secondo un'indagine condotta da RE/MAX in Italia il 38% conclude la ricerca in meno un mese, mentre sono meno del 20% quelli che impiegano più di sei mesi.

Più nel dettaglio, «il 18,2% degli italiani trovano casa in 3-4 settimane, il 14,2% impiega 1-2 settimane e il 5,8% riesce a trovare la sua casa ideale in meno di 7 giorni. La percentuale degli italiani che trova una nuova proprietà nel giro di 1 o 2 mesi sale leggermente al 21,8%, mentre il 21.5% riesce a concludere la sua ricerca in un periodo che varia da 3 a 6 mesi, mentre il 18,5% degli italiani che cercano una nuova casa impiegano più di 6 mesi». Prima di decidre gli italiani visitano in media 9 immobili, solo il 5,8% supera quota 20 e il 9,5% decide di acquistare dopo aver visitato un solo immobile.

RE/MAX Italia - network immobiliare in franchising che, grazie ad una rete di oltre 250 agenzie e 1.700 agenti immobiliari affiliati, gestisce un portfolio di immobiliare di oltre 22.000 proprietà - propone anche quest'anno l'appuntamento con l'Open House Weekend : sabato 16 e domenica 17 aprile saranno, infatti, centinaia gli immobili ad aprire le loro porte al pubblico per un intero weekend col beneficio, per venditori e acquirenti, di velocizzare i tempi di compravendita. Sarà possibile visitare gli immobili senza necessità di prendere appuntamenti, anche più volte nella stessa giornata, sotto la supervisione esperta di un consulente immobiliare RE/MAX.

sabato 23 aprile 2016

18 rate del mutuo non pagate e la banca si prende la casa: ok al decreto

18 rate del mutuo non pagate e la banca si prende la casa: ok al decreto

Ok definitivo del Consiglio dei Ministri al decreto che recepisce una direttiva UE e che stabilisce, tra le altre cose, la possibilità per le banche di vendere direttamente un immobile gravato da ipoteca nel caso di mancato pagamento di 18 rate, senza passare dal tribunale. In questo modo si salteranno le lunghe procedure delle aste giudiziarie.

La direttiva europea prevede la possibilità di inserire nei contratti una norma che consenta alle banche di vendere la casa in caso di mancato pagamento di sette rate. e anche per i mutui già in essere. La protesta di opposizione e consumatori nel nostro Paese ha portato a un correttivo per cui tale clausola è facoltativa, non retroattiva (si applica cioè ai nuovi contratti) e l'istituto di credito non può obbligare il cittadino a sottoscriverla. Per quanto riguarda la scelta delle 18 rate non pagate, ha una stretta relazione con l'esistenza di un fondo di garanzia che copra il mancato pagamento del mutuo per tale periodo di tempo. È prevista anche un'assistenza obbligatoria di un consulente per il consumatore che intenda sottoscrivere tale clausola.

Divieto patto commissorio

Il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri contiene anche la conferma del divieto del cosiddetto "patto commissorio", già proibito dal codice civile e l'ammissione del cosiddetto "patto marciano". La banca nel caso di vendita all'asta della casa potrà trattenere per sé solo la somma necessaria a ripagare il debito, mentre l'eventuale eccedenza deve essere essere restituita al debitore. Il debito si considera estinto anche nel caso in cui il ricavato della vendita sia inferiore a quanto dovuto. 

Ambito applicazione delle nuove norme

Il decreto stabilisce che le nuove norme siano circoscritte a: mutui aventi ad oggetto la concessione di credito garantito da ipoteca su un immobile residenziale; mutui finalizzati all'acquisto o alla conservazione del diritto di proprieta' su un terreno o su un immobile edificato o progettato.

Maggiori garanzie per il consumatore

Nella nota di Palazzo Chigi, si legge che la finalita' della direttiva e' quella di "garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili (mutui immobiliari garantiti da ipoteche o finalizzati all'acquisto del diritto di proprieta' su un immobile). La direttiva impone, tra l'altro, che siano fornite al consumatore informazioni precontrattuali dettagliate su un Prospetto Informativo Europeo Standardizzato (PIES), spiegazioni adeguate prima della conclusione del contratto di credito e chiarimenti in ordine al calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG)".

Nel decretos sono state inserite delle norme che prevedono oltre agli obblighi informativi e di correttezza dell'informatore, anche che la Banca d'Italia, nelle disposizioni attuative, abbia particolare riguardo ai casi di eventuale stato di bisogno o di debolezza del consumatore.

Requisiti ed info per ottenere un mutuo

 

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Intraprendere l’accensione di un mutuo è un passo importante per la vita di ogni singola persona o di un’intera famiglia, che decide di acquistare la sua prima casa. Ovviamente è necessario dimostrare alla banca la solidità del proprio reddito, che sarà in grado di supportare il pagamento nel corso degli anni. E’ bene però anche ricordare che grazie alla legge di Stabilità 2016 sono attive delle interessanti agevolazioni, anche per i giovani, che possono aiutare a superare queste difficoltà.

Reddito per accedere ai mutui per la prima casa

Il primo dei requisiti del mutuo per la prima casa è il reddito. Ogni istituto concessionario o banca effettua calcoli differenti per stabilire la fattibilità dell’investimento. Ovviamente questi calcoli mirano a capire se il beneficiario del prestito sarà in grado di restituire tutta la somma e, soprattutto, se potrà farlo secondo il piano creato appositamente per lui.

Una delle condizioni più comuni per soddisfare questo parametro è la dimostrazione di un reddito fisso e continuo, quindi il presentare un contratto di lavoro a tempo indeterminato. È possibile, infatti, che il possesso di un altro immobile, che di per sé costituisce già un’ottima garanzia (sulla quale accendere un’ipoteca), non sia sufficiente senza un contratto di lavoro continuativo.

L’importanza della nazionalità

Altri requisiti riguardano la maggiore età e la nazionalità, che dev’essere nel nostro caso italiana. Ovviamente però i mutui vengono erogati anche a stranieri, che hanno un lavoro fisso e vivono in Italia da almeno tre anni. Nel gennaio 2016 da un’indagine dell’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa è risultato che il 13,6% dei mutui erogati nel 2015 è stato concesso a cittadini stranieri, che una volta su due hanno scelto la formula a tasso fisso. Mutui quindi lunghi, intorno ai 25 anni, per importi che spesso superano i 100 mila euro.

Come stabilire se si può accedere al mutuo?

Il calcolo per stabilire se un cliente possa divenire beneficiario è molto complesso. Soprattutto anche nella formulazione del piano d’ammortamento (durata e importo delle rate) sono moltissimi i fattori che vengono presi in considerazione.

Se quindi è presente un’età minima, non lo è un’età massima, ma in caso di anziani, la durata del piano viene ridotta (solitamente a massimo 15 anni).

Il Fondo Mutui Giovani Coppie

Il Fondo Mutui Giovani Coppie, avviato nel 2011 dal Ministero della gioventù,  ma disegnato dal decreto legge numero 112 dell’anno 2008, si pone l’obiettivo di agevolare l’accesso al mutuo per l’acquisto prima casa da parte di giovani coppie o da parte di famiglie costituite da un solo genitore con figli minorenni, privilegiando i potenziali richiedenti che non hanno un rapporto di lavoro di tipo subordinato a tempo indeterminato. Il Fondo nasce con una dotazione iniziale di 50 milioni di euro, aumentata di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, grazie al recente decreto legislativo 102/2013.

Il Fondo fornisce così alle banche eroganti una garanzia da parte dello Stato, nel caso in cui il giovane mutuatario non riesca a far fronte al pagamento delle rate, dopo i 100 giorni dall’invio del primo sollecito a pagare. Tale garanzia non può superare però i 75.000 euro complessivi, e viene calcolata fino al 50% della quota capitale, degli oneri (sino ad un massimo del 5% del capitale) e degli interessi del mutuo calcolati al tasso legale.

La detrazione degli interessi passivi

Gli interessi passivi del mutuo, pagati sul mutuo per l’acquisto dell’abitazione principale o prima casa possono essere portati in detrazione del 19% Irpef nel 730 o nella dichiarazione dei redditi modello Unico, a patto che siano riferiti all’acquisto dell’abitazione principale del soggetto o di un familiare, con le modalità ed i limiti fissati dal legislatore fiscale.

Rientrano nell’agevolazione gli interessi passivi pagati nell’anno di imposta, relativi al mutuo contratto per:

  • l’acquisto dell’abitazione principale;
  • l’acquisto di immobili diversi dall’abitazione principale;
  • la costruzione o la ristrutturazione dell’abitazione principale;
  • gli interventi di recupero del patrimonio edilizio (solamente per i mutui contratti nel 1997);
  • miglioramento a breve medio e lungo termine in campo agricolo.
Cos’è il mutuo ipotecario?

Per mutuo ipotecario cosa si intende precisamente? Sappiamo che al momento dell’accensione del mutuo, l’istituto chiede delle vere e proprie garanzie, al fine di andarsi a tutelare in caso il mutuatario diventi insolvente, ovvero non riesca a pagare una o più rate.

Una valida alternativa è quella di garantire la banca attraverso l’ipoteca, andando dunque a mettere in pratica il cosiddetto mutuo ipotecario.

Questo significa che il contratto di mutuo, della durata standard di 5 anni, va ad essere garantito dall’ipoteca sull’immobile stesso: la banca, in caso di insolvenza, gode del diritto reale di garanzia su un immobile di altrui proprietà.

Questo tipo di mutuo è molto diffuso nei seguenti casi, in cui è molto più semplice per chi effettua il prestito avvalersi del diritto di rivalsa sull’immobile che si è andato ad ipotecare:

Tutto questo è dovuto dal fatto che l’ipoteca stessa, disciplinata dal Codice Civile in una serie di articoli, a partire dal 2008, funge da garanzia di credito: tali norme, infatti, stabiliscono tutte le modalità con cui è necessario avere a che fare in caso di ipoteche di tipo volontario, di tipo giudiziario e di tipo legale.

Quanto si spende per i mutui rispetto agli affitti?

Chiaramente non è possibile pretendere una risposta certa ed esatta, ma possiamo valutare insieme alcuni aspetti per chiarire tutte le voci di spesa legate all’acquisto della casa e quanto incidono sul reddito annuale dei cittadini italiani.

Il primo dato da considerare è lo spread bancario e la percentuale dei tassi della Banca Centrale Europea.

Il costo dell’affitto può sembrare molto più conveniente ad una prima e superficiale analisi: rispetto agli altri paesi europei, infatti, un appartamento di dimensioni pari a circa 70-80 mq prevede un risparmio di circa 200 euro. Ma quello che grava maggiormente sugli affitti, o meglio sul reddito annuale di chi decide di pagare un canone mensile di affitto piuttosto che un mutuo, è il peso delle tasse. Come riportano i dati dell’Adoc, rispetto ad altri paesi europei, in Italia il peso finale sul reddito è maggiore di circa il 15%, con un impatto del 74%.

La differenza con il mutuo è rilevante, in quanto l’impatto delle spese di acquisto casa e delle utenze domestiche sul reddito annuale, è molto più basso rispetto all’affitto, per un valore finale pari a circa il 60%.

Gli allestimenti che fanno vendere un immobile

Bonus acquisto casa da affittare, sconto irpef del 20% anche con il contratto 4+4

Bonus acquisto casa da affittare, sconto irpef del 20% anche con il contratto 4+4

 

Ai fine della deduzione del 20% del costo di acquisto di abitazioni da dare in locazione per otto anni a canoni bassi sono inclusi anche i contratti di affitto a canone libero di durata di quattro anni, con tacito rinnovo di altri quattro anni. A confermarlo l’Agenzia delle Entrate al Sole 24 Ore.

In particolare, è stato chiarito che il requisito della destinazione alla “locazione per almeno otto anni” può essere rispettato con qualsiasi tipo di contratto di locazione, “ricomprendendo anche le ipotesi in cui il contratto abbia tale periodo di efficacia per effetto di proroghe, previste per legge o concordate tra le parti”.

Secondo quanto previsto, l’unità immobiliare acquistata, ristrutturata o costruita deve essere destinata alla locazione per almeno otto anni. Si tratta di un vincolo che viene rispettato sia se il contratto ha tale periodo per esplicito accordo delle parti, sia se è la legge a prevedere una proroga di diritto almeno fino a otto anni.

L’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che la deduzione è riconosciuta a prescindere dal soggetto cedente l’unità immobiliare. Una precisazione che di fatto ha corretto le errate condizioni contenute nelle istruzioni di Unico PF e del 730, relativi al 2014, e della prima versione definitiva dei modelli relativi al 2015, approvati con il provvedimento del 15 gennaio 2016, per il 730 2016, e con il provvedimento del 29 gennaio 2016, per Unico PF 2016.

Istruzioni nelle quali si imponeva che l’acquisto della casa dovesse essere effettuato solo presso imprese di costruzione o cooperative edilizie, ovvero che la ristrutturazione dovesse essere effettuata solo da imprese di ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie.

I vincoli legati al soggetto cedente o a quello che ha effettuato i lavori di ristrutturazione erano stati eliminati dalla legge di conversione della norma che aveva introdotto il bonus in questione. Così, con i provvedimenti del 9 marzo 2016 e del 31 marzo 2016 sono state corrette le istruzioni dei modelli 730 2016 e Unico PF 2016.

L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che neppure il Dm attuativo dell’8 settembre 2015 ha imposto una specifica qualifica in capo al cedente, cosicché si può ritenere che il beneficio è riconosciuto a prescindere dal soggetto cedente l’unità immobiliare.

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In particolare, è stato chiarito che il requisito della destinazione alla “locazione per almeno otto anni” può essere rispettato con qualsiasi tipo di contratto di locazione, “ricomprendendo anche le ipotesi in cui il contratto abbia tale periodo di efficacia per effetto di proroghe, previste per legge o concordate tra le parti”.

Secondo quanto previsto, l’unità immobiliare acquistata, ristrutturata o costruita deve essere destinata alla locazione per almeno otto anni. Si tratta di un vincolo che viene rispettato sia se il contratto ha tale periodo per esplicito accordo delle parti, sia se è la legge a prevedere una proroga di diritto almeno fino a otto anni.

L’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che la deduzione è riconosciuta a prescindere dal soggetto cedente l’unità immobiliare. Una precisazione che di fatto ha corretto le errate condizioni contenute nelle istruzioni di Unico PF e del 730, relativi al 2014, e della prima versione definitiva dei modelli relativi al 2015, approvati con il provvedimento del 15 gennaio 2016, per il 730 2016, e con il provvedimento del 29 gennaio 2016, per Unico PF 2016.

Istruzioni nelle quali si imponeva che l’acquisto della casa dovesse essere effettuato solo presso imprese di costruzione o cooperative edilizie, ovvero che la ristrutturazione dovesse essere effettuata solo da imprese di ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie.

I vincoli legati al soggetto cedente o a quello che ha effettuato i lavori di ristrutturazione erano stati eliminati dalla legge di conversione della norma che aveva introdotto il bonus in questione. Così, con i provvedimenti del 9 marzo 2016 e del 31 marzo 2016 sono state corrette le istruzioni dei modelli 730 2016 e Unico PF 2016.

L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che neppure il Dm attuativo dell’8 settembre 2015 ha imposto una specifica qualifica in capo al cedente, cosicché si può ritenere che il beneficio è riconosciuto a prescindere dal soggetto cedente l’unità immobiliare.

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Leasing immobiliare di Unicredit, come funzionerà lo strumento di finanziamento alternativo al mutuo

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Il leasing immobiliare per la prima casa è stato introdotto dalla legge di stabilità 2016, ma fino a ora chi ha provato ad accedervi si è visto respingere dalle banche, che ancora non avevano provveduto a dotarsi di procedure e strumenti per operare in quest'ambito. Unicredit arriva prima, dando il via all'esplorazione di un mercato per il quale la stessa banca di piazza Gae Aulenti ha avuto dimostrazione che l'interesse c'è.
Contattata da Idealista, Unicredit ha fatto sapere che “non ci sono stime precise sui numeri ma  in questi mesi abbiamo raccolto diverse manifestazioni di interesse ancor prima che il prodotto uscisse”.
Compreso un primario istituto italiano come quello guidato da Federico Ghizzoni, che pure aveva già una controllata, Unicredit Leasing, che di locazione finanziaria già si occupava, non solo per quanto riguarda beni strumentali, ma anche nell'immobiliare. Anche se, prima del cambiamento di normativa, era limitato a immobili destinati allo svolgimento di un'attività.
Il meccanismo è, in sé, semplice: la banca, tramite la sua controllata dedicata, acquisterà l’immobile e l’utilizzatore pagherà un canone periodico. Al termine del periodo definito, potrà riscattare la casa.
“Il leasing immobiliare è uno strumento innovativo – ha dichiarato Gabriele Piccini, country chiarman Italy di Unicredit – che va incontro soprattutto alle esigenze dei giovani”. Fino ai 35 anni, infatti, e con un reddito che non superi i 55.000 euro, il 19% dei canoni pagati per il leasing potrà essere detratto in dichiarazione dei redditi, fino a un tetto massimo di 8.000 euro annui. Per quanto riguarda la maxirata finale, il limite si attesta a 20.000 euro.
Le agevolazioni non spariscono, ma si dimezzano, per gli over 35 (vale a dire 4.000 euro di detrazione annuale massima e 10.000 euro per il riscatto finale). Non cambiano i requisiti reddituali.
Un'importante tutela è offerta dal leasing immobiliare nel caso malaugurato in cui si perda il lavoro. “Il legislatore, infatti, ha previsto la possibilità di chiedere la sospensione della rata per un massimo di 12 mesi” ha ricordato  Corrado Piazzalunga, amministratore delegato di Unicredit Leasing, convinto che “Questa iniziativa potrà anche imprimere nuovo slancio alla ripresa del mercato immobiliare, con effetti positivi in termini di generazione di nuovi posti di lavoro nel settore delle costruzioni e con un contributo utile nel fare emergere il sommerso degli affitti immobiliari”.
“Stiamo parlando di un mercato che in Italia conta oltre 1 milione 100 mila persone. Si tratta di un nuovo strumento che si aggiunge al tradizionale mutuo. Il leasing, infatti, è rivolto soprattutto ai quei giovani o a quelle coppie che, grazie a questo strumento, potranno ambire a un immobile più grande rispetto a quello che potrebbero permettersi ricorrendo a un mutuo ipotecario” ha dichiarato ancora Piccini.
Per quanto concerne il processo di valutazione e le tempistiche di rilascio, Unicredit asserisce che i tempi saranno in linea con quelli di un normale mutuo ipotecario.

giovedì 21 aprile 2016

Sei consigli per rendere "irresistibile" la tua casa per un possibile acquirente

 

Una casa accogliente fa stare bene i nostri ospiti, ma rende felice soprattutto chi ci vive. Purtroppo i ritmi frenetici a cui siamo costretti ci impediscono di occuparci della casa come vorremmo, ma seguendo questi semplici consigli possiamo rendere più piacevole tornarci e ospitare gli amici.

La porta d’entrata

La porta d’entrata è come il biglietto da visita di una casa. Quando fai le pulizie, dedica qualche minuto anche a lei. Anche lo zerbino può fare molto, sceglilo del colore adatto e appendi alla porta un messaggio di benvenuto oppure, per un tocco di originalità in più, scrivilo direttamente sulla porta con le vernici apposite.

L’ingresso

Il colpo d’occhio di chi entra è sempre attirato dagli accostamenti di colore. Aggiungi quindi dei particolari colorati come dei quadretti e dei tappeti e cura l’illuminazione. Una luce calda e all’ingresso è sempre un buon modo per accogliere i nostri ospiti. Non dimenticare di posizionare ombrelliere e appendiabiti.

casa accogliente

Elimina gli ostacoli

Nelle case piccole lo spazio è un bene di lusso e deve essere utilizzato con molta attenzione. Attenzione quindi alla distribuzione dei mobili e degli oggetti d’arredamento che non devono intralciare i passaggi tra un ambiente e l’altro. Se per noi diventa un’abitudine spostare una sedia per poter raggiungere il mobile delle tazze, per un ospite può essere motivo di disagio. Quindi opta per un arredamento modulare pratico e semplice da utilizzare.

casa accogliente

Arricchisci l’ambiente con piante e fiori

Un ambiente ricco di piante è più accogliente. Un ospite che entra in un ambiente in cui ci sono piante e fiori si sentirà accolto come un ospite d’onore.

casa accogliente

Tessuti, tappeti e cuscini

I tessuti d’arredo devono essere scelti in modo da creare giochi di colore che diano allegria e rendano l’ambiente accogliente. Negli ambienti dedicati alle sere con gli amici, prevedi un bel tappeto comodo e tanti cuscini da tirare fuori all’occorrenza.

casa accogliente

Inserisci qualche oggetto d’arredo vintage

I mobili e gli oggetti vintage emanano il calore tipico degli oggetti vissuti e creano un ambiente più piacevole e meno asettico.

Il Bonus ristrutturazioni in una infografica

Come funzionano le detrazioni fiscali per chi ristruttura immobili o acquista arredi ed elettrodomestici destinati agli immobili oggetto di lavori edilizi agevolati: l'infografica.

 

Ristrutturazioni

Realizzata dal team di esperti di Facile Ristrutturare, è online un’utile infografica che spiega in maniera intuitiva le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie. In maniera semplice ed immediata riassume informazioni importanti quali:

  • quanto si può detrarre;
  • come funzionano le detrazioni;
  • chi può beneficiarne;
  • come usufruire delle agevolazioni fiscali al 50%;
  • gli interventi per cui sono ammesse le agevolazioni;
  • come funziona la detrazione fiscale per chi adotta misure antisismiche;
  • come funziona il bonus mobili.
 

Ricordiamo che le detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione edilizia, ormai reste strutturali, sono state previste in origine dal Dl 201/2011 con aliquota del 36% per un importo complessivo non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare. Le aliquote sono state poi portate al  50% e la spesa limite a 96.000 euro per immobile.

 

La Legge di Stabilità 2016 ha prorogato fino al 31 dicembre le aliquote agevolate per le detrazioni IRPEF previste a chi ristruttura e riqualifica immobili o acquista arredi ed elettrodomestici destinati agli immobili oggetto di lavori edilizi agevolati. Tra le più recenti novità spicca la maggiore detrazione IRPEF ed IRES per gli interventi su edifici in zone sismiche ad alta pericolosità (se adibite ad abitazione principale o ad attività produttive) e la detrazione IRPEF per acquisti di immobili ristrutturati.

 

Quanto si può detrarre:

Ristrutturazioni 1

Come funzionano le detrazioni:

Ristrutturazioni 2

Chi può beneficiarne e come usufruirne:

Ristrutturazioni 3

Interventi, misure antisismiche e Bonus Mobili:

Ristrutturazioni  4

Detrazioni 50% e 65% per condomini minimi

La circolare del 2 marzo 2016 ha modificato la prassi per le detrazioni fiscali sui condomini minimi, ora non più obbligati alla dotazione del codice fiscale.

Detrazioni fiscali per lavori in condominio

Le detrazioni sulle ristrutturazioni edilizie (detrazione 50%) e sul risparmio energetico (detrazione 65%) sono concesse non solo per lavori realizzati su parti private di edifici come singole abitazioni, ma anche su parti comuni condominiali.
Detrazioni per lavori in condominioPensiamo ad esempio a lavori eseguiti su vani scale, cortili, parcheggi, cancelli di ingresso, terrazze e tetti condominiali.
In questi casi la procedura per accedere alle detrazioni prevede che il singolo contribuente debba essere in possesso, oltre dei classici documenti (copia di autorizzazioni comunali, fatture, ricevute dei bonifici, ecc.), del seguente materiale aggiuntivo:
- delibera assembleare di autorizzazione all’esecuzione dei lavori;
- tabella millesimale di ripartizione delle spese.
In alternativa, in luogo di questi due documenti, il contribuente può utilizzare una certificazione rilasciata dall’amministratore del condominio, in cui lo stesso attesti di aver adempiuto a tutti gli obblighi previsti e in cui indichi la somma che il singolo condòmino può sfruttare personalmente ai fini della detrazione.
La procedura può essere seguita in modo semplice quando gli interventi sono realizzati su condomini di una certa dimensione, già da tempo muniti di codice fiscale, con un conto corrente condominiale da cui poter effettuare i bonifici, con obbligo di nomina dell’amministratore e dove questa figura è punto di riferimento tutte le volte che si intraprendono interventi edilizi o di risparmio energetico.
Il tema è divenuto invece più complesso per immobili con un numero di proprietari non superiore a 8, ossia i condomini cosiddetti minimi.

Cosa sono i condomini minimi?

L’espressione condominio minimo è nata in origine per indicare un condominio composto da due soli proprietari. Tuttavia la medesima terminologia è ormai applicata in modo più esteso agli immobili con un numero di proprietari non superiore a 8. Ciò in conseguenza alle similitudini previste sotto il profilo normativo e burocratico.
condominio minimo
Per i condomini con numero di proprietari non superiore a 8 l’articolo 1129 del Codice Civile non prevede né obbligo di nomina dell’amministratore né obbligo da parte di questi di aprire un apposito conto corrente intestato al condominio (prima delle modifiche apportate dalla legge n. 220 del 2012 all’articolo 1129 c.c. il riferimento era a quattro condòmini).
Sempre il Codice Civile, all’articolo 1138, disciplina il regolamento di condominio, necessario in caso di più di 10 condòmini.
Di conseguenza per i condomini minimi la nomina di un amministratore, l’apertura di un conto corrente e l’istituzione di un regolamento condominiale restano facoltative
In caso di spese riguardanti condomini minimi, spesso tra vicini ci si arrangia con una divisione dei costi informale, non si richiede attribuzione di codice fiscale condominiale e la maggior parte delle volte non esiste nemmeno un conto corrente comune da cui effettuare i pagamenti.
Volendo beneficiare delle detrazioni fiscali per lavori da eseguire su parti comuni di condomini minimi, come ci si deve comportare?

Detrazioni per lavori su parti comuni in condomini minimi prima della circolare n.3/E del 2 marzo 2016

Le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate in merito ai condomini cosiddetti minimi sono variate nel tempo. Si rende allora necessaria una certa attenzione nel trattare l’argomento.
Vediamo cos’era previsto prima della Circolare n.3/E del 2 marzo 2016.
Detrazioni per lavori in condominioFin dall’entrata in vigore della Legge n. 449 del 1997 (la Legge che ha istituito la detrazione sulle ristrutturazioni edilizie), il beneficio fiscale per tutti i condomini era subordinato all’esistenza di un codice fiscale di condominio e a fatture intestate al condominio stesso (non a uno o più proprietari).
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n.11/E del 21 maggio 2014 chiarì al paragrafo 4.3 la situazione particolare dei condomini che non avevano ancora chiesto l’attribuzione di codice fiscale (tra cui anche i condomini minimi) e che intendevano beneficiare delle detrazioni fiscali per lavori eseguiti su parti comuni.
Ai fini delle detrazioni il condominio era obbligato ad essere provvisto di codice fiscale sempre, anche in caso di condominio minimo.
Il condominio minimo era allora tenuto a chiedere l’assegnazione di un codice fiscale prima ancora di procedere coi lavori e successivamente seguire tutte le procedure previste per le detrazioni.
Il bonifico per il pagamento dei lavori eseguiti su condomini minimi poteva avvenire da un conto corrente condominiale o, considerato che il conto comune restava comunque facoltativo, dal conto corrente di uno dei condòmini a cui doveva essere affidato ufficialmente l’incarico del pagamento. Sul bonifico doveva risultare il codice fiscale del condominio ed anche il codice fiscale dell’amministratore (se nominato) o del condòmino che effettuava il pagamento.
La ripartizione delle spese relative alla parti comuni avveniva secondo i millesimi di proprietà o ai diversi criteri applicabili ai sensi del codice civile (articoli 1123 e seguenti). Ad ogni modo ciascun condòmino poteva beneficiare delle detrazioni in ragione della spesa effettivamente sostenuta.

Detrazioni per lavori su parti comuni in condomini minimi successivamente alla circolare n.3/E del 2 marzo 2016

In conseguenza all’esigenza di semplificare gli adempimenti dei contribuenti, l’Agenzia delle Entrate ha deciso di riconsiderare le istruzioni fornite con la precedente prassi.
In merito alle detrazioni fiscali per lavori eseguiti su condomini minimi, la circolare n.3/E del 2 marzo 2016 elimina l’obbligo di richiesta di codice fiscale.
Sono dichiarate ufficialmente superate le indicazioni fornite con circolare n.11/E del 21 maggio 2014 (quella precedentemente citata che obbligava ai fini delle detrazioni alla richiesta di codice fiscale anche per i condomini minimi) e con risoluzione n.74/E del 2015 (risoluzione con la quale si fornivano specifiche per i pagamenti), salvi restando i comportamenti già posti in essere in attuazione dei documenti ufficiali dell’Agenzia delle Entrate.
Detrazioni condominioLa prassi indicata con circolare n.3/E del 2 marzo 2016 attualmente in vigore è la seguente: in assenza di codice fiscale condominiale, i contribuenti, per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi e per gli interventi di riqualificazione energetica realizzati su parti comuni di un condominio minimo, per la quota di spettanza, possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condòmino che ha effettuato il relativo bonifico.
Quindi niente richiesta di codice fiscale di condominio e pagamento effettuato dal conto corrente di uno dei condòmini ufficialmente incaricato, al quale poi gli altri condòmini verseranno ognuno la propria parte.
Il singolo contribuente è poi tenuto, in sede di controllo, a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell’edificio e a fornire, oltre alla documentazione richiesta ai fini della detrazione per i condomini, un’autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio.

Condomini minimi che in passato hanno effettuato pagamenti senza dotarsi di codice fiscale

Sempre nella circolare n.3/E del 2 marzo 2016, l’Agenzia delle Entrate tranquillizza i contribuenti per quanto riguarda i condomini minimi che in passato hanno effettuato pagamenti per le detrazioni fiscali senza prima dotarsi di codice fiscale.
Pur non avendo seguito la prassi precedentemente prevista, non vi è rischio di perdita della detrazione, purché il pagamento sia stato effettuato mediante l’apposito bonifico bancario/postale previsto per le detrazioni e che quindi non vi sia stato pregiudizio al rispetto da parte delle banche e di Poste Italiane S.p.a dell’obbligo di operare la ritenuta all’atto dell’accredito del pagamento (ritenuta attualmente pari all’8%, in precedenza pari al 4%).

sabato 16 aprile 2016

Stop al gazebo in terrazzo se installato all'interno di una area vincolata

Avv.to Maurizio Tarantino - Foro Bari

Avv.to Maurizio Tarantino - Foro Bari
15/03/2016

Deve escludersi che sia soggetto al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica il gazebo in legno sul terrazzo in area vincolata con recinzione in calcestruzzo e sovrastante ringhiera in ferro, non potendosi revocare in dubbio che tale elemento costruttivo produca un'alterazione significativa del prospetto, con ogni conseguenza in merito all'iter istruttorio da seguire ai fini dell'autorizzazione paesaggistica.

Così si è pronunciato il TAR CAMPANIA - Napoli nella sentenza n. 137 del 13 gennaio 2016, ove è stato precisato che è legittimo lo stop al progetto da parte della Soprintendenza quando tutto il territorio del Comune è ritenuto da anni di notevole interesse paesaggistico. La ringhiera in ferro e il cordoletto in calcestruzzo dell'opera escludono che si possa ricorrere all'iter abbreviato per il placet dell'amministrazione perché il manufatto ha un impatto notevole sul prospetto, determinando una significativa alterazione.

Questi i fatti di causa. Il proprietario di una unità immobiliare, aveva presentato allo sportello edilizia privata del Servizio Urbanistica del Comune di appartenenza, la denuncia di inizio lavori, con connessa richiesta di autorizzazione paesaggistica, per installare un gazebo in legno sul terrazzo di esclusiva proprietà della suddetta unità immobiliare; altresì, per tali motivi, richiedeva l'autorizzazione di poter effettuare la recinzione della proprietà tramite la realizzazione di un cordoletto in calcestruzzo con sovrastante ringhiera in ferro.

Il progetto in esame, pur avendo preliminare parere favorevole dalla commissione edilizia, successivamente riceveva parere negativo dalla Soprintendenza. Per tali ragioni, avverso tale determinazione, l'istante proponeva ricorso al TAR.

Il ricorrente, per le ragioni esposte, contestava al competente Tribunale Amministrativo Regionale l'operato dell'Amministrazione Comunale, in quanto, l'intervento richiesto di realizzazione di gazebo di tipo amovibile realizzato con struttura in legno, rientrava nell'ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata ai sensi del d.p.r. n. 139/2010.

Costruzione di un gazebo sul lastrico solare e alterazione del decoro architettonico

Per meglio dire, nella fattispecie in esame, è importante evidenziare che la modifica dei beni d'interesse paesaggistico è in genere soggetta ad autorizzazione, cioè alla verifica della compatibilità del progetto con l'interesse paesaggistico tutelato.

In tale circostanza, la forma ordinaria di autorizzazione paesaggistica è quella prevista e disciplinata dalla parte III del D.Lgs. n. 42/2004, detto Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Tuttavia, esiste poi una forma semplificata di tale provvedimento prevista dall'art.146, co.9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, disciplinata dal DPR n. 139/2010; come intuibile, detto strumento è sorto per semplificare l'iter burocratico dei piccoli interventi edilizi (ovviamente detti interventi devono riguardare aree o immobili soggetti alle norme di tutela dei beni paesaggistici, sempre che comportino un'alterazione dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici (art. 1, co.1, DPR n. 139/2010).

Costruzione di un gazebo sul lastrico solare ad uso esclusivo: Quali limiti ?

Premesso quanto innanzi esposto, il giudice amministrativo, nella sentenza in oggetto, preliminarmente ha evidenziato che il territorio comunale in esame (S. Giorgio a Cremano) è Comune assoggettato alla tutela di cui alla Parte Terza del d. lgs. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio, per la presenza di un vincolo di notevole interesse paesaggistico, risalente al decreto ministeriale 28 marzo 1985.

In disparte questa considerazione preliminare, inoltre, il giudicante ha specificato che tra le opere che l'Allegato I del menzionato d.p.r. 139/2010 contempla, ai fini del ricorso al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, il n. 8 indica testualmente la "realizzazione di tettoie, porticati, chioschi da giardino e manufatti consimili aperti su più lati, aventi una superficie non superiore a 30 mq".

Orbene, nel caso di specie, è emerso che, per quanto sopra illustrato, la superficie d'ingombro (Gazebo) risultava superiore, benché di poco, alla quella massima consentita dal d.p.r. 139/2010 per il ricorso al procedimento autorizzatorio semplificato.

In ogni caso, anche volendo prescindere dalla questione legata all'ingombro della superficie - in considerazione dello scarto invero minimo tra lo sviluppo della superficie progettato e quello massimo previsto dal d.p.r. 139/2010 per accedere alla forma semplificata del procedimento autorizzatorio in questione - appare comunque dirimente il fatto che l'intervento preveda anche una recinzione con cordoletto in calcestruzzo e sovrastante ringhiera in ferro.

Difatti, non sembra dubitabile che questo elemento costruttivo produca un'alterazione significativa del prospetto, con ogni conseguenza in merito all'iter istruttorio da seguire ai fini dell'autorizzazione paesaggistica.

E' lecito il gazebo sul terrazzo nel rispetto del regolamento condominiale

Alla luce di quanto sopra esposto, appare dunque corretto e pertinente il procedimento ordinario di autorizzazione paesaggistica seguito dal comune di San Giorgio a Cremano e dalla Soprintendenza.

Per le ragioni esposte, il Tribunale Amministrativo Regionale adito, legittimamente ha respinto il ricorso.

venerdì 15 aprile 2016

Il box torna un buon investimento

 

 

Avete tra i 20 e 30mila euro da investire? Il box auto potrebbe essere una buona scelta. A patto, però, di trovarlo nella zona giusta e a prezzi adeguati ai nuovi livelli di mercato. Senza cedere a facili entusiasmi, gli operatori confermano come il mercato dei garage sia in decisa ripresa, a causa soprattutto dell’appetibilità dei rendimenti.

I box hanno subìto uno stop della domanda ancora più marcato rispetto a quello delle abitazioni. Si calcola che dal 2007 i prezzi siano scesi di almeno il 30-35%, con una contrazione di qualche punto percentuale proseguita ancora per tutto il 2015. A livello di interesse, secondo Tecnocasa, una dinamica positiva era invece già partita l’anno scorso quando quasi il 60% di chi aveva acquistato il box lo aveva fatto con finalità di investimento. «Dall'inizio del 2016 notiamo una domanda sempre crescente», conferma Guido Lodigiani, responsabile dell’ufficio studi di Immobiliare.it, così che anche i prezzi nel corso del 2016 potrebbero ritrovare il segno positivo. A che cosa di deve questa rinascita? «Il box è un investimento abbastanza liquido, che si riesce ad affittare e rivendere con meno problemi di una casa. E soprattutto, permette di investire a una platea molto più ampia di persone rispetto alle abitazioni, che saranno anche deprezzate rispetto a dieci anni fa, ma richiedono pur sempre un impegno sostanzioso e hanno bisogno di più manutenzione e riservano spese di condominio ben più alte».

Il rendimento medio lordo nelle città italiane è compreso fra il 5,3% e il 6,4%, ma con punte che arrivano al 7-10%. Si tratta di una resa superiore al residenziale – che, secondo Lodigiani, oggi non offre più del 2-3% – ma anche migliore dei principali strumenti finanziari a rischio zero (o quasi), come i conti deposito. Certo, le cose cambiano quando dal lordo si passa a calcolare il rendimento netto. Il peso di spese e imposte finisce in media per dimezzarlo, e portarlo fra il 2,5% e il 3% (vedi articolo sotto), ma è una riduzione fisiologica anche negli investimenti immobiliari in abitazioni. Su cosa puntare? «Meglio concentrarsi su quartieri in cui ci sia poca disponibilità di parcheggio e una bassa presenza di box rispetto alle abitazioni – suggerisce Fabiana Megliola responsabile dell’ufficio studi del gruppo Tecnocasa –. Da valutare anche le zone ad alta presenza di uffici, soprattutto se non ben collegate con i mezzi pubblici».

Guardando al dettaglio delle principali città emergono dati interessanti. I rendimenti migliori si spuntano nelle zone di periferia, dove si riesce ad acquistare a buon mercato e affittare a canoni non troppo distanti da quelli del centro. Ecco perché, ad esempio, secondo Immobiliare.it i quartieri esterni di centri come Bari e Verona promettono una resa superiore a quelli di Milano e Roma. A livello di prezzo, invece, più che il “blasone” della città è la scarsità dell’offerta a determinare i valori più alti, che si trovano quasi sempre nei centri storici. Roma è in testa e in alcune zone, come Campo dei Fiori (dati Tecnocasa), si incontrano annunci di vendita anche sui 100mila euro. Napoli e Firenze, invece, battono Milano. La media in pieno centro è sui 45-50mila euro, ma ci sono box in vendita al Vomero a 65mila euro e nel capoluogo toscano, attorno a Santa Croce, anche a 70mila. Mentre la particolarità di Genova – «tipica delle città di mare» secondo Lodigiani – è che molte zone esterne costino più di quelle interne alla città. È il caso ad esempio di Voltri o di Quinto, dove si rintracciano prezzi superiori ai 45mila euro. «La fascia su cui concentrarsi, comunque, è quella compresa fra i 20 e i 30mila euro. In questo range si ottiene il risultato migliore come rapporto spesa-rendimento – osserva Lodigiani –. E va sempre considerato che una cosa è la domanda iniziale del proprietario, un’altra il prezzo finale, scontato anche del 15-20 per cento».

Anatocismo, cosa cambia con il decreto salva banche

Anatocismo, cosa cambia con il decreto salva banche

Il decreto salva banche approvato in via definitiva dal Senato ha introdotto una nuova regolamentazione dell'anatocismo. Ecco cosa cambierà, nel bene e nel male, per i consumatori secondo l'ufficio studi economico giuridici di Altroconsumo.

L’iter legislativo che ha portato all’attuale formulazione dell’articolo 120 del TUB fa legittimamente pensare che il legislatore volesse eliminare completamente la possibilità di anatocismo. E questo in maniera ampia, includendo anche le spese applicate sul “rosso” e gli interessi moratori nel novero delle voci che non possono essere colpite da anatocismo. Ed estendendo il divieto anche alle cosiddette carte revolving.

Il nuovo testo dell’articolo 120 che nella comma 2 diventa così

Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

«a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti;

b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1 marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo».

Che cosa cambierà?

  • Purtroppo c’è ancora un riferimento ad un decreto del CICR che dovrà indicare la regolamentazione specifica dell’anatocismo. Ci auguriamo che arrivi al più presto. Ad esempio nella precedente versione dell’articolo del TUB operativa dal 1 gennaio 2014 la delibera CICR non è mai arrivata, alimentando così il contenzioso di questi anni sul tema.
  • E’ chiarito che il divieto di anatocismo riguarda solo gli interessi debitori e non quelli creditori.
  • Viene nuovamente reintrodotto (dopo il tira e molla del 2014) il calcolo del conteggio degli interessi debitori e creditori con la stessa periodicità che non potrà essere mai inferiore all’anno. Gli interessi saranno conteggiati al 31 dicembre di ogni anno o comunque alla fine del rapporto. Ciò significa che le eventuali spese legate al rosso di conto corrente (ad esempio le spese di istruttoria veloce) saranno conteggiate una sola volta nell’anno evitando la loro capitalizzazione.
  • Inoltre viene allargato il divieto anche alle carte di credito revolving, cosa importantissima visto i tassi debitori applicati da queste carte (in media 16,44%, fino ad un massimo del 24,44%). 

L’ultimo punto afferma inoltre che gli interessi debitori saranno addebitati sul conto dei clienti il 1 marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. E questo è un ulteriore vantaggio per i clienti.  

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domenica 10 aprile 2016

Come stabilire il prezzo di vendita della propria casa

Come stabilire il prezzo di vendita della propria casa

Stabilire qual è il prezzo adeguato per una casa da mettere in vendita non è cosa semplice, sono tante le variabili in gioco: la zona in cui si trova l'immobile, la presenza o meno nelle vicinanze di nuovi edifici, il target a cui ci si vuole rivolgere. Per fare la differenza con il resto delle offerte e non “bruciare” il proprio prodotto, secondo l’agenzia spagnola Alfa Inmobiliaria bisogna osservare con attenzione la concorrenza, analizzare il profilo dell’acquirente e valutare lo stato della casa.

I criteri per stabilire il prezzo di vendita di un’abitazione sono molteplici e differenti tra loro. Ecco tre punti fondamentali da non perdere di vista.

Consultare tutti i siti specializzati presenti sul web – E’ bene consultare tutti i siti specializzati presenti sul web e paragonare la propria casa con quelle simili messe in vendita. E’ opportuno ricordare che il prezzo menzionato è quello di partenza, non quello finale. Si deve quindi considerare uno sconto tra il 5 e il 15%.

Analizzare il profilo dell’acquirente – Se l’immobile in vendita si trova in una zona dove vive la classe medio-bassa, bisogna considerare che si tratta di quella parte della popolazione che ha risentito di più della crisi economica e che quindi probabilmente sarà necessario negoziare sul prezzo. Al contrario, se la casa si trova in una buona zona, in cui l’offerta è scarsa, è possibile chiedere qualcosa in più (si parla di un 10% in più) rispetto a un anno fa.

Valutare lo stato della casa – E’ poi opportuno valutare lo stato generale della casa e considerare che il potenziale acquirente chiederà uno sconto sul prezzo pari all’investimento che dovrà fare per ristrutturare l'immobile.

Fondo garanzia mutui per le giovani coppie, ma le banche aderenti lo offrono davvero?

Fondo garanzia mutui per le giovani coppie, ma le banche aderenti lo offrono davvero?

 Il fondo mutui per le giovani coppie fornisce una garanzia statale agli under 35 che vogliono comprare casa e hanno un contratto di lavoro precario. Eppure nonostante la tutela dello Stato, sono ben pochi gli istituti che lo offrono ai propri clienti. Secondo un'inchiesta di Altroconsumo, condotta su 61 agenzie, infatti, la maggior parte ignora l'esistenza di questo fondo, mentre il resto lo concede solo a particolari condizioni.

Cos'è il fondo di garanzia prima casa

Il Fondo di garanzia prevede il rilascio di garanzie a copertura del 50% della quota capitale dei mutui ipotecari erogati per l’acquisto, o la ristrutturazione per l’accrescimento dell’efficienza energetica, degli immobili adibiti a prima casa, con priorità di accesso per le giovani coppie o ai nuclei famigliari monogenitoriali con figli minori, nonché di giovani con contratti di lavoro atipico con età inferiore a 35 anni.

L'indagine di Altroconsumo

Nell'inchiesta due membri dell'associazione dei consumatori, si sono finti una coppia under 35 con un lavoro precario e si sono recati in 61agenzie bancarie a Milano, Bologna, Napoli e Bari per richiedere un mutuo. I risultati sono stati poco confortanti.

  • la maggior parte degli istituti ignorava l'esistenza del Fondo, nonostante le banche si fossero impegnate con il ministero del Tesoro
  • in 9 casi è stato richiesto una garanzia di un terzo, cioè la fideiussione di un parente o di co-obbligato, questo nonostante il regolamento del fondo escludesse garanzie aggiuntive oltre a quelle dello Stato.
  • Sul fronte del Taeg, è stato offerto un valore superiore l massimo stabilito dal fondo, ovvero 3,6% per i mutui a tasso fisso e 2,83% per quelli a tasso variabile
  • nel 52% dei casi è stata richiesta come condizione l'apertura di un conto corrente
  • nel 30% l'offerta è stata vincolata all'acquisto di una polizza vita Cpi (Creditor protection insurance)
  • 60 istituti su 61 hanno proposto la polizza casa venduta dalla banca stessa a copertura dell'immobile ipotecato

La conclusione di Altroconsumo è che, ben lungi, dal rispettare delle regole da loro sottoscritte, le banche offrono il fondo di garanzia solo per dare prestiti a tassi di mercato, ovvero senza perderci nulla, lasciando tutto il rischio allo Stato.

Condomini e risparmio energetico

 

L’Agenzia delle Entrate ha emanato un provvedimento che attua quanto stabilito nelle disposizioni della Legge di Stabilità: i lavori condominiali per migliorare l’efficienza energetica potranno essere pagati da alcuni inquilini con la cessione dei bonus fiscali del 65%. Si tratta di una sorta di baratto a cui però non tutti possono ricorrere per il pagamento dei lavori.

Questa possibilità, infatti, è destinata soltanto ai condomini che non pagano l’Irpef perché percepiscono redditi troppo bassi e che, quindi, non potrebbero beneficiare del bonus nella loro dichiarazione dei redditi. Tradotto in termini pratici, target di questa iniziativa sono i pensionati con un reddito inferiore a 7.500 euro l’anno; i lavoratori autonomi che non superano i 4.800 annui e i lavoratori dipendenti con entrate annuali inferiori a 8.000 euro.

Come non tutti i condomini possono accedere a questo “scambio”, non tutti i lavori in condominio rientrano in questa iniziativa: sono contemplati nel provvedimento solo quelli che mirano a migliorare l’efficienza energetica, vale a dire interventi di coibentazione, sostituzione di caldaie con impianti a condensazione o l’installazione di pannelli solari. Il credito che si può cedere in cambio dei lavori è pari al 65% delle spese calcolate sulla base dei millesimi che corrispondono a ogni unità del condominio. La pratica va attuata con l’amministratore in sede di assemblea, possibilmente la stessa che decreta l’approvazione dei lavori. L’amministratore, a sua volta, avviserà l’impresa dei fornitori che comunicheranno di accettare il “baratto”. La regola vale sia per i lavori che iniziano nel 2016, sia per quelli in corso e per cui i pagamenti sono in via di erogazione.

Indice Istat: nel 2015 i prezzi delle abitazioni sono scesi del 2,4%, flessione del 13,9% negli ultimi cinque anni


Nel 2015 i prezzi delle abitazioni sono scesi del 2,4% rispetto al 2014, mentre per quanto riguarda l'ultimo trimestre dell'anno la diminuzione è stata dello 0,2%. A dirlo è l'Istituto nazionale di statistica, che ha registrato negli ultimi cinque anni una flessione del 13,9% dei valori delle case.
In media nel 2015 i prezzi delle case sono scesi del 2,4% rispetto all'anno precedente (quando la variazione era stata pari al -4,4%). Il calo è imputabile a una flessione del 2,8% dei prezzi delle abitazioni esistenti (dopo il -5,2%) del 2014) e dell'1,3% dei prezzi di quelle nuove (era -2,2% nel 2014). Un ridimensionamento nella caduta dei prezzi che è stato contemporaneo a una ripresa delle compravendite. Negli ultimi cinque anni, i prezzi delle abitazioni sono diminuiti del 13,9%.
Indice Istat: nel 2015 i prezzi delle abitazioni sono scesi del 2,4%, flessione del 13,9% negli ultimi cinque anni
Analizzando i dati del quarto trimestre del 2015, l'indice dei prezzi delle abitazioni è sceso dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,9% nei confronti dello stesso periodo del 2014.  Nel dettaglio, i prezzi delle abitazioni usate, dopo il -2,8% del terzo trimestre, hanno registrato un calo pari all'1,0% nel quarto. I prezzi delle abitazioni nuove sono diminuiti su base annua dello 0,5%.

Mutui, nel 2015 erogazioni +70,6% rispetto al 2014

Mutui, nel 2015 erogazioni +70,6% rispetto al 2014
Il mercato del credito per le abitazioni continua a dare segnali positivi. Come rilevato dall’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa, considerando l’intero anno 2015, sono stati erogati alle famiglie italiane finanziamenti per l’acquisto della casa per 41.247,1 milioni di euro. Il saldo annuo, se confrontato con quanto rilevato nei 12 mesi precedenti (intero anno 2014), segna un aumento dei volumi pari a +70,6%, per un controvalore di +17.064,4 milini di euro.  
Le erogazioni sono in aumento da due anni e superano abbondantemente i 10 miliardi di euro. Era dalla metà del 2011 che non si toccava quota 13 miliardi. Si tratta di un trend suffragato anche dalle performance positive riscontrate mensilmente, che vedono incrementi importanti a partire dalla metà del 2014 e volumi raddoppiati dall’estate scorsa.

Macroaree

Il quarto trimestre 2015 vede un incremento delle erogazioni in tutte le macroaree. La performance migliore spetta ancora una volta alle Isole, dove i quasi 870 milioni di euro sono il doppio rispetto a quanto erogato nel quarto trimestre 2014. I volumi raddoppiano anche nel Centro e nel Sud Italia, mentre il Nord-Ovest si conferma la macroarea dove si eroga di più, con più di 4,3 miliardi di euro. Anche l’Italia Centrale fa segnare una performance interessante: i volumi sono aumentati del 68% e adesso superano i 2,8 miliardi di euro.
Analizzando l’intero anno 2015 si registrano volumi in aumento in tutte le macroaree italiane. Il Meridione eroga 5.750 milioni di euro e fa ancora segnare il miglior andamento, con un incremento dell’84%. Con un aumento del 79,6% e volumi pari a 10,3 miliardi di euro, il Centro Italia si posiziona al secondo posto sia per andamento sia per totale erogato. Con quasi 14 miliardi di euro, invece, è il Nord-Ovest l’area dove si eroga di più e i suoi volumi sono aumentati del 63,3%; la performance è simile nel Nord-Est, dove però i volumi sono 8.900 milioni di euro.
Mutui, nel 2015 erogazioni +70,6% rispetto al 2014

Regioni

Come avviene da più di un anno, anche nel quarto trimestre 2015 tutte le regioni italiane fanno segnare volumi in aumento, tra l’altro con variazioni importanti. Quasi la metà delle regioni raddoppia i propri volumi: la prima di queste è la Basilicata, che fa segnare addirittura +135,7%, a seguire ci sono Abruzzo e Sardegna con +110%.
L’ottima performance trimestrale, abbinata all’andamento positivo riscontrato nei trimestri precedenti, determina aumenti nelle erogazioni di tutte le regioni anche per gli ultimi 12 mesi (intero anno 2015).

Province

Anche nel quarto trimestre 2015 tutte le 110 province analizzate hanno evidenziato variazioni in aumento e ben 43 raddoppiano i propri volumi rispetto al quarto trimestre 2014. Su tutte spicca la provincia del Medio Campidano, che vede un incremento del 362%; al secondo posto c’è un’altra provincia sarda, quella di Olbia-Tempio, i cui volumi sono aumentati del 239,1%, seguita da Potenza (+210,5%) e Carbonia-Iglesias (+176,8%). Tra le principali province emergono sempre Roma e Milano, i cui volumi sono più del doppio rispetto alla terza provincia, Torino. Si segnalano Bari e Bologna, in aumento del 113-114% rispetto all’anno scorso.
Sulla scia dell’andamento trimestrale, nell’intero anno 2015 tutte le province italiane hanno evidenziato volumi in aumento.

Andamento delle consistenze

Nel quarto trimestre 2015 si registra uno stock di mutui in essere pari a 296.634 milioni di euro, in leggero aumento sia rispetto al trimestre precedente (+0,6%) sia in relazione allo stesso periodo dell’anno scorso (+0,7%). Da segnalare che era dalla fine del 2011 che le consistenze non facevano registrare variazioni positive, seppur molto contenute.

Importo medio di mutuo

Il ticket medio nazionale si è attestato a circa 111.300 euro, in aumento rispetto a quanto riscontrato nel quarto trimestre 2014. Per quanto riguarda la ripartizione geografica, il Nord-Ovest e il Centro si mantengono sopra i livelli nazionali, il Nord-Est è in linea rispetto al totale dell’Italia, mentre la tendenza è opposta al Sud e nelle Isole. Il ticket medio risulta più elevato nella macroarea Centrale (116.200 euro) e più basso al Sud, dove si erogano in media 104.100 euro.
Mutui, nel 2015 erogazioni +70,6% rispetto al 2014

I tassi d’interesse

Le dinamiche economico-finanziarie che stanno influenzando l’area euro hanno spinto la Banca Centrale Europea a ritoccare più volte al ribasso il tasso di riferimento Bce. Dopo i tagli del 2013, che lo avevano portato a 0,25%, gli interventi sono continuati a breve distanza nel 2014 (giugno e settembre) con una riduzione di 0,10 bps in entrambi i casi. Da allora il tasso è rimasto stabile a 0,05%, fino al taglio di marzo 2016, che lo ha portato alla sua quotazione minima di sempre (0%).
Dai massimi di luglio 2011 (1,60%), il tasso Euribor (3 mesi) ha iniziato una parabola discendente che lo ha portato rapidamente a quota 0,19% a dicembre 2012, per attestarsi poco sopra 0,20% per tutto il 2013 e il 2014, salvo andare addirittura sottozero da maggio 2015. La quotazione di marzo 2016 è -0,23%.
Dopo aver mantenuto una media intorno al 3,4% nel 2011, l’Eurirs (25 anni) è sceso a giugno 2012 a quota 2,13% ma, contrariamente all’Euribor, è tornato a crescere fino a 2,75% a settembre 2013. Da quel momento ha iniziato la fase discendente che lo ha portato al suo nuovo minimo ad aprile 2015 con 0,82%, per poi riprendere quota e arrivare a 1,12% a febbraio e marzo 2016.
Stando alle dinamiche dei tassi di marzo 2016, è stato calcolato l’importo della rata mensile di un mutuo ipotecario del valore di 110.000 euro per una durata di 25 anni, ipotizzando che l’immobile valga 160.000 euro e che lo spread medio di mercato si attesti a 1,50% per il tasso fisso e a 1,60% per il tasso variabile. Con un mutuo a tasso fisso si avrebbe una rata di 500 euro, circa 67 euro in più rispetto a quanto si dovrebbe sostenere scegliendo un mutuo a tasso variabile, in quanto la sua rata ammonta a 433 euro.
Mutui, nel 2015 erogazioni +70,6% rispetto al 2014

Conlcusioni e previsioni

I segnali sono positivi e la domanda è in crescita ormai da tempo. Anche l’offerta continuerà a migliorare e, con tutte le cautele del caso, le banche erogheranno maggiormente rispetto al passato. I principali indici di riferimento dei tassi sono ancora a livelli molto bassi, riducendo in questo modo il costo dei finanziamenti e creando nuove opportunità per il mercato.
Non da ultimo vanno segnalate le manovre adottate dalla Banca centrale europea allo scopo di sostenere i finanziamenti a famiglie e imprese, come testimoniato recentemente dal taglio dei tassi di interesse sui depositi e dal proseguimento del Quantitative Easing.
Dall’altra parte, però, bisogna considerare le prospettive economiche e il mercato del lavoro che crescono lentamente, nonché il livello del contenzioso relativamente ai mutui condizionato dalla situazione economica del nostro Paese.
Sebbene più morbide rispetto al passato, le politiche di erogazione rimarranno prudenziali per tutto il 2016 e la qualità del portafoglio degli istituti continuerà ad essere un fattore decisivo che condizionerà le scelte di erogazione nei prossimi mesi.
Il 2015 si è chiuso con un aumento delle erogazioni rispetto a quanto rilevato nel 2014, anche per effetto della significativa crescita dei finanziamenti di surroga. Il 2016 dovrebbe continuare su questa stessa lunghezza d’onda, ma con una riduzione delle erogazioni relative alle surroghe.

mercoledì 6 aprile 2016

Abitabilità sottotetto: necessario permesso del Comune

Come rendere abitabile il sottotetto? Quali sono i requisiti che occorrono e i permessi necessari? Ecco quanto c'è da sapere sul recupero abitativo del sottotetto

 

Abitabilità sottotetto

Il sottotetto è quella parte di immobile che si trova all’ultimo piano di un edificio che da semplice soffitta piena di roba vecchia che non usiamo più, può trasformarsi in una confortevole stanza per gli ospiti, una palestra in casa oppure una zona studio per i figli, una biblioteca o una zona living dove trascorrere la gran parte del tempo. Ma come rendere abitabile un sottotetto?
I requisiti per farlo sono diversi da Regione a Regione e a volte anche da Comune a Comune.  Recentemente è intervenuta la Corte di Cassazione che ha chiarito quale documento occorre per effettuare un intervento di recupero del sottotetto ai fini abitativi.
Ma andiamo per ordine!

Abitabilità sottotetto: la normativa di riferimento

Recupero sottotettoPer quanto riguarda la normativa di riferimento per il recupero di un sottotetto ai fini abitativi sono le regioni che stabiliscono autonomamente con appositi regolamenti i limiti e i vincoli da rispettare e in alcuni casi anche il comune può determinare altri requisiti che ogni proprietario deve rispettare.
In linea generale i sottotetti sono qualificati come quei volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici nei quali è stato eseguito il rustico e sia stata completata la copertura.
I requisiti minimi stabiliti dai vari regolamenti regionali e comunali che disciplinano l’abitabilità di un sottotetto riguardano:
- altezza minima: l’altezza media inferiore generalmente è di 270 cm regolari, ma in alcune regioni può arrivare anche a 240 cm (per esempio in Basilicata, Emilia Romagna, Marche, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Veneto). Può essere ridotta ulteriormente a 2,20 metri per i servizi come bagni, corridoi e disimpegni. Alcune Regioni prevedono un’ulteriore riduzione dell’altezza a 2 metri per i Comuni classificati come montani.
- rapporto aeroilluminato: indica la superficie totale vetrata apribile che in linea di massima è pari a 1/6 di quella pavimentata e in alcune regioni come Basilicata, Calabria e Molise anche più alta ad 1/8.
- possibilità di aprire finestre, lucernari, abbaini e terrazzi: alcune regioni possono vietarlo in specifiche zone.
- altezza colmo e pendenza tetto: in alcune regioni (ad esempio il Veneto) al fine di ottenere le altezze medie e minime richieste dalle leggi regionali è vietato alzare la quota del colmo o modificare la pendenza del tetto. Altre invece lo permettono, come la Liguria ma  a precise condizioni, per cui, la nuova altezza dell’edificio non deve superare quella prevista dal piano regolatore. Altre ancora come l’Emilia Romagna vietano la modifica dell’altezza del colmo e della pendenza del tetto nei centri storici.
Nei regolamenti possono esserci altre prescrizioni: ad esempio, si può prevedere il recupero a fini abitativi del sottotetto che sia già costruito al momento dell’entrata in vigore delle norme.
Altri, come il Comune di Milano, prevedono la possibilità di recuperare il sottotetto anche se realizzato dopo l’entrata in vigore della legge purchè però non siano decorsi cinque anni dal rilascio dell’agibilità dell’edificio.

Sottotetto condominiale: di chi è la proprietà?

Ma di chi è il sottotetto in un condominio
È una domanda che può generare non poche dispute fra i condomini. Recentemente è intervenuta anche la Corte d’Appello di Roma (sentenza n. 2571/2015) che ha precisato che se il sottotetto costituisce un volume tecnico può essere considerato come pertinenza dell’appartamento sottostante, e quindi appartiene all’inquilino dell’ultimo piano del condominio e non al condominio, in generale.
Per essere certi, buona prassi nella maggioranza dei casi è verificare la proprietà nel regolamento condominiale o nell’atto di compravendita dell’immobile collocato in un condominio. Può essere che in essi vi è scritto esplicitamente che il sottotetto è una parte comune ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile e come tale è fruibile da tutti i condomini che possono così adibirlo a zona lavanderia o locale caldaia ad esempio.
Può anche verificarsi il caso in cui un condòmino voglia acquistare per sé il sottotetto che è di proprietà del condomino. In tal caso occorre una delibera assembleare con il consenso di tutti e sempre se nel sottotetto non si trovano serbatoi per l’acqua o l’impianto di riscaldamento dell’intero edificio.

Abitabilità di un sottotetto: la sentenza n. 49583/2015

Sottotetto abitabileRecuperare un sottotetto è un intervento edilizio che necessita di un permesso.
Un importante chiarimento in merito all’abitabilità del sottotetto e soprattutto ai documenti necessari è arrivato dalla Corte di Cassazione. Con la sentenza n. 49583/2015 la Suprema Corte ha stabilito che l’intervento per cambiare la destinazione d’uso di un sottotetto può avvenire solo con il permesso del comune, altrimenti si rischia di commettere un abuso edilizio.
La sentenza è importante in quanto conferma che per tale tipo di intervento è sempre necessario avere un titolo abitativo. Nel caso in esame il comune aveva accertato che il cambio di destinazione d’uso di un sottotetto aveva determinato un aumento della superficie lorda utile e della volumetria sopra il 5% rispetto a quella autorizzata con il permesso di costruire.
In sostanza, per i giudici della Cassazione quando si cambia la destinazione d’uso di un sottotetto rendendolo abitabile - il che comporta di aumentare la superficie utile e la volumetria - è necessario possedere un permesso dell’amministrazione comunale.

Recupero sottotetto e detrazione fiscale al 50%

Sottotetto e detrazione 50%Per chi intenda effettuare un intervento di recupero del sottotetto a fini abitativi è bene sapere che il Fisco concede un’importante agevolazione, ossia la possibilità di detrarre dall’IRPEF una parte degli oneri sostenuti per ristrutturare le abitazioni e le parti comuni degli edifici residenziali situati nel territorio dello Stato.
In particolare, si può fruire per il recupero del sottotetto della detrazione al 50% delle spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2016, con un limite massimo di 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare.
Dal 1 gennaio 2017 la detrazione scenderà al 36% con limite massimo di spesa di 48.000 euro per ogni unità immobiliare.
La detrazione deve essere ripartita in dieci quote annuali di pari importo e per fruirne è sufficiente indicare nella dichiarazione dei redditi i dati catastali identificativi dell’immobile.
Altra importante condizione è quella di effettuare i pagamenti con bonifico bancario o postale da cui risultino:
- causale del versamento, con riferimento alla norma (articolo 16 -bis del Dpr 917/1986)
- codice fiscale del beneficiario della detrazione
- codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario del pagamento.
Al momento del pagamento del bonifico, inoltre, banche e Poste Italiane Spa devono operare una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito dovuta dall’impresa che effettua i lavori.
Dal 1° gennaio 2015 la ritenuta è pari all’8%. È necessario inoltre conservare proprio la ricevuta del bonifico oltre alle fatture o ricevute fiscali relative alle spese effettuate per la realizzazione dei lavori di ristrutturazione.

Recupero sottotetto e bonus mobili

La detrazione per interventi di ristrutturazione edilizia permette di godere anche del bonus mobili, ossia la detrazione dall’Irpef del 50% per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, di classe non inferiore alla A+ (A per i forni), finalizzati all’arredo di immobili oggetto di ristrutturazione, fino al 31 dicembre 2016.
Un bonus fruibile anche per chi esegue un intervento di recupero del sottotetto a fine abitativi. Come tale si potranno acquistare con lo sconto IRPEF:
- mobili nuovi quali letti, armadi, cassettiere, librerie, scrivanie, tavoli, sedie, comodini, divani, poltrone, credenze, nonché i materassi e gli apparecchi di illuminazione
- grandi elettrodomestici nuovi di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni) quali frigoriferi, congelatori, lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi di cottura, stufe elettriche, piastre riscaldanti elettriche, forni a microonde, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici, ventilatori elettrici, apparecchi per il condizionamento.

Obbligo di installazione delle valvole termostatiche: chi paga se l'appartamento è in affitto?

Obbligo installazione valcole termostatiche
La spesa delle valvole spetta al proprietario che affitta.
Entro il 31 dicembre 2016 è previsto l’obbligo di installare le valvole termostatiche con i contabilizzatori di calore in tutti gli immobili facenti parte di condomini con riscaldamento centralizzato, esclusi quindi quelli con impianto autonomo. Obiettivo: contenere la spesa energetica delle nostre abitazioni. Ma se la casa è affittata, tale spesa rientra fra gli oneri spettanti al conduttore o al locatore?

Le valvole termostatiche sono meccanismi di termoregolazione che permettono una diversa – e automatica - regolazione delle temperature per ogni stanza dell’appartamento: ogni volta che ci sarà del calore in eccesso rispetto alla temperatura impostata sulla testa della valvola, essa ne richiederà meno al radiatore, consentendo così il risparmio energetico che si tradurrà, in seconda istanza, anche in un risparmio economico. E’ necessario installare le valvole su tutti i termosifoni presenti in casa: trattandosi di un circuito chiuso, infatti, ogni componente dell’impianto di riscaldamento influisce sul comportamento dell’altro. L’obbligo di installazione si estende anche ai contabilizzatori, o ripartitori di calore, che quantificano il calore effettivamente consumato. L’obiettivo è quello di adeguarsi alla direttiva europea 2012/27/Ue che prevede di diminuire del 20% le emissioni di anidride carbonica, incrementando al contempo del 20% le fonti rinnovabili di energia. In un condominio, dopo un primo investimento iniziale, la prospettiva è quella di ottenere un risparmio medio annuale tra il 10% e il 30% del totale del combustibile utilizzato.
Ma quando l’appartamento è in affitto, l’onere della spesa spetta al proprietario o all’inquilino? Trattandosi di adeguamento dell’impianto di riscaldamento alle leggi e ai regolamenti in materia di contenimento dei consumi, la spesa ricade sul proprietario, come indicato nelle tabelle di ripartizione degli oneri accessori approvate dalle principali organizzazioni sindacali di categoria. Per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali, esse andranno riviste in assemblea: le spese di riscaldamento vanno infatti ripartite tra le unità immobiliari in proporzione alle letture dei contatori di calore. Solo una parte minima della spesa viene suddivisa secondo i millesimi, compensando i costi comuni e le dispersioni di calore dell’impianto di riscaldamento.

I condomini che non si adegueranno alla legge entro il 2017 saranno soggetti a sanzioni amministrative comprese tra i 500 e i 2500 euro, a seconda delle disposizioni adottate dalle singole Regioni. In realtà il tempo a disposizione per effettuare l'adeguamento è ridotto rispetto a tale scadenza: infatti, per non causare disagi alle famiglie, l'installazione delle valvole termostatiche dovrebbe avvenire a impianti spenti, quindi tra aprile e ottobre. Ma quanto costerà l’adeguamento? Secondo una simulazione effettuata dal Sole 24 Ore, per un appartamento di 80 mq dotato di 6 caloriferi si sborseranno 1.055 euro di spesa per installare le valvole termostatiche, con un costo medio per radiatore di circa 120 euro, compresi i costi per adeguare le pompe di circolazione dell'impianto condominiale da portata fissa a variabile. Importo che sfrutta già il maxi sconto fiscale del 65%, valido fino al prossimo 31 dicembre.