sabato 24 giugno 2017

Mutui e prestiti: il settore torna in salute

 

Dall’ultimo Osservatorio Assofin – Crif – Prometeia è emerso che il 2016 è stato un vero e proprio anno d’oro per i mutui, complici offerte sempre più favorevoli, una maggiore fiducia dei consumatori, migliori condizioni del mercato immobiliare residenziale e tassi di interesse sensibilmente più bassi. I finanziamenti con obiettivo l’acquisto di un’abitazione, in un anno, sono cresciuti del 31,7% e hanno continuato ad aumentare anche nei primi tre mesi del 2017, seppure a ritmi più lenti (+25,8% su base annua).

Meno surroghe e valori vicini al pre-crisi

Se i mutui registrano costanti aumenti del loro volume, quello delle surroghe risulta in diminuzione perché in calo sono i finanziamenti per cui conviene ancora optare per questa soluzione. Alla fine del 2016 il volume delle surroghe era sceso dello 0,1%, dopo tre anni di costanti aumenti, e nel primo trimestre 2017 si parla di un -27,5%.

Per ciò che riguarda i prestiti, invece, le notizie sono buone e i valori si stanno avvicinando al periodo precedente alla crisi economica. I flussi finanziati sono aumentati del 16,3% rispetto a quanto rilevato nel 2015; i ritmi sembrano rallentare, ma di poco, all’inizio di quest’anno, considerato che nel primo trimestre 2017 l’incremento è stato pari al 15,4%.

Cosa si finanzia

Analizzando i flussi del credito al consumo all’inizio del 2017, questi sono aumentati del 26% per l’acquisto di auto e moto e del 22,8% per il comparto dei prestiti personali. È scesa del 7,3% l’erogazione di finanziamenti per altri beni e servizi, soprattutto a causa di un calo degli acquisti di elettrodomestici e componenti di elettronica. Sta bene, invece, il comparto dell’arredamento, grazie soprattutto agli effetti dei bonus fiscali sulle ristrutturazioni.

La qualità del credito è migliore

I numeri sui flussi di credito sono quindi positivi e lo sono altrettanto anche quelli sul tasso di default, vale a dire il rischio sofferenze per ritardo nei pagamenti di almeno sei rate e potenziali sofferenze: nell’ultima rilevazione effettuata lo scorso marzo, il valore ha toccato il livello più basso degli ultimi anni, assestandosi all’1,7%, contro l’1,9% del 2016. Analizzando soltanto il tasso di default relativo ai mutui, siamo a livelli ancora più bassi, con un 1,3%, numero praticamente prossimo ai valori pre-crisi.

Gli analisti riflettono su come una maggiore cautela, rispetto al passato, sia da parte della domanda sia dell’offerta ha portato ad avere un credito generalmente di qualità maggiore. Ciò che si eroga, quindi, è molto meno a rischio rispetto agli anni più intensi della crisi economica. Anche a causa della minore incidenza delle surroghe sul totale dei mutui erogati, sono aumentati i finanziamenti finalizzati all’acquisto che coprono cifre superiori ai 200mila euro da rimborsare per periodi più lunghi di 25 anni.

Secondo le stime degli esperti il prossimo triennio (2017-2019) vedrà consolidarsi la crescita dei prestiti, avendo già un’ottima base di partenza, solida e in salute, perché si ritorni a una fase più che positiva del comparto

Che cos’è il diritto di prelazione dell’inquilino?

 

Se il proprietario/locatore vuol vendere l’immobile locato, l’inquilino ha il diritto di prelazione sull’acquisto. Modalità e limiti del diritto di prelazione.

In presenza di un contratto di locazione, la legge disciplina le regole che il proprietario deve rispettare alla scadenza del primo periodo di decorrenza contrattuale. Sostanzialmente, a parte alcuni casi particolari (tra questi, la decisione di vendere l’immobile affittato), il locatore deve concedere il rinnovo all’inquilino.

Ebbene, se alla prima scadenza contrattuale, il proprietario è intenzionato a cedere il proprio appartamento, deve concedere al conduttore (cioè l’inquilino) la possibilità di acquistarlo a preferenza sugli altri ipotetici e potenziali acquirenti. Tecnicamente, tale diritto si definisce di prelazione.

Che cos’è il diritto di prelazione dell’inquilino?

Il contratto di locazione abitativa ha, normalmente, una durata di 4 anni, con la possibilità di rinnovo automatico per un periodo corrispondente (cioè altri 4 anni). Detto ciò, la legge [1], consente al proprietario d’impedire il predetto rinnovo automatico soltanto in presenza di alcune circostanze, tassativamente indicate.

Ad esempio, il proprietario può inviare disdetta all’inquilino se vuole destinare l’immobile a uso abitativo, artigianale, commerciale o professionale proprio o del coniuge, dei genitori, dei figli e dei parenti entro il secondo grado.

Oppure, sempre ad esempio, il proprietario può evitare il rinnovo per i successivi 4 anni, allorquando voglia vendere l’immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili a uso abitativo, oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione.

Ebbene in quest’ultimo caso, cioè se è intenzione del locatore vendere l’immobile affittato, deve necessariamente riconoscere all’inquilino, il diritto di prelazione sulla predetta vendita.

In altre parole, deve essere concessa al conduttore la possibilità di acquistare l’immobile locato prima ed a preferenza rispetto a tutti gli altri. Ovviamente tale facoltà potrà essere esercitata limitatamente, e cioè entro sessanta giorni dalla comunicazione ricevuta, soltanto se saranno rispettate le condizioni di vendita proposte dal proprietario, tra le quali chiaramente, il prezzo richiesto.

È bene precisare che, se il locatore non rispetterà il diritto di prelazione concesso dalla legge a favore dell’inquilino, ad esempio vendendo l’appartamento locato senza avvisare il conduttore, questi potrà esercitare il diritto di riscatto nei riguardi dell’acquirente dell’immobile e/o dei successivi, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto [2].

L’inquilino ha sempre il diritto di prelazione?

Il diritto di prelazione è concesso all’inquilino soltanto in occasione della prima scadenza, cioè qualora il proprietario abbia manifestato la volontà d’impedire il rinnovo del contratto, ad esempio, per gli ulteriori 4 anni, motivandolo con l’intenzione di vendere l’immobile locato.

Tale conclusione è stata sancita dalla Suprema Corte di Cassazione la quale ha precisato che il diritto di prelazione non è normativamente previsto, in favore del conduttore in assoluto, in quanto conduttore, ma solo nella limitata ipotesi in cui il locatore gli abbia intimato disdetta per la prima scadenza, comunicandogli di voler cedere la proprietà a terzi. E ciò, come misura atta a compensare in qualche modo il sacrificio del mancato godimento dell’immobile tolto in locazione, per l’ulteriore quadriennio normativamente previsto, a fronte della utilità, per il locatore, purchè sprovvisto di altri immobili ad uso abitativo, oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione, di poter vendere a terzi il bene [3

Tasse immobili in discesa, impatto TASI

 

L'eliminazione TASI prima casa ha prodotto un risparmio di 175 euro a famiglia: report sulle tasse immobiliari del Ministero delle Finanze.

Barbara Weisz - 30 maggio 2017

I proprietari di immobili nel 2016 hanno risparmiato 175 euro a testa in media grazie all’eliminazione della TASI sulla prima casa e in genere alla riduzione del prelievo fiscale sul mattone. Le tasse immobili, sottolinea il rapporto “Immobili in Italia” del Ministero delle Finanze, dal 2016 si sono ridotte di 4,4 miliardi, di cui 3,6 riferibili all’eliminazione della TASI sulle prime case non di lusso. Il 48% del prelievo totale 2016 sugli immobili deriva dall’IMU e solo il 3% dalla TASI.

 

Ecco la composizione delle altre entrate da tassazione sulla casa: il gettito di imposte di natura reddituale è pari al 21% del totale ed è in gran parte attribuibile all’IRPEF (14% del totale) e alla cedolare secca sulle locazioni abitative (5%). IVA sulle compravendite di immobili al 13%, imposte di registro e bollo al 7%.

Fra gli effetti della fiscalità immobiliare sul mercato, il report misura l’impatto della politica di abbassamento delle tasse sulla prima casa, nell’ottica di stimolare la ripresa del mercato dell’acquisto della prima casa, e quello della cedolare secca, che mira a simulare il mercato degli affitti. Il risparmio totale del 2016 dovuto all’abolizione TASI prima casa è stato pari a 3mila 521 milioni di euro (in linea con le valutazioni che erano state fatte), con un beneficio differenziato per categoria di utente. Vediamo quanto hanno risparmiato i proprietari di prima casa divisi per tipologie:

Tipologia di reddito
Risparmio TASI

pensione
181 euro

lavoro dipendente
165 euro

impresa
167 euro

lavoro autonomo
243 euro

fabbricati e terreni
228 euro

Per quanto riguarda le classi di reddito, il beneficio maggiore in termini percentuali è a favore di coloro che guadagnano fino a 15mila 075 euro annui (risparmio dello 0,49%), mentre è relativamente omogeneo per i redditi da questa soglia fino a 183mila euro, per poi scendere di qualche punto per i redditi alti.

tasi risparmi

La cedolare secca invece produce due effetti in termini di gettito. La riduzione del prelievo favorisce la base imponibile.  Da sottolineare che la riduzione premia maggiormente i redditi alti, in considerazione del fatto che l’aliquota al 21% è leggermente inferiore al primo scaglione IRPEF (23%), mentre è praticamente dimezzata rispetto al 43% dell’ultimo scaglione. C’è poi, per tutti, un risparmio d’imposta intorno ai 3,5 punti sulle addizionali locali e l’imposta di registro e bollo. Il secondo effetto è un gettito inferiore per l’erario, perché si riduce l’imposta pagata dai contribuenti che dichiaravano i redditi da locazione prima assoggettati a IRPEF ordinaria.

domenica 18 giugno 2017

Investire per i figli: la casa resta un bene prezioso

 

Non tramonta il sentimento d’amore degli italiani nei confronti della casa e a dimostrarlo ci sono i risultati dell’ultimo sondaggio di Immobiliare.it che ha chiesto a un campione di 10mila utenti in che cosa investirebbero se potessero lasciare qualcosa ai figli.

Per metà degli italiani la casa è la risposta

Il 51,7% dei rispondenti ha dichiarato che, fra le opzioni suggerite, quello in cui investirebbero per i propri eredi è un immobile. Questo vuol dire che oltre metà degli italiani vede ancora la casa come il bene più prezioso da tramandare, ma indica anche che per l’altra parte di chi ha risposto non è così. Se l’amore per gli immobili non sembra tramontare, di certo il sentimento sta cominciando a scricchiolare se consideriamo che alla stessa domanda, in un sondaggio del 2006, ben il 60% dei rispondenti aveva indicato la casa. In fondo erano anni, quelli precedenti alla crisi, in cui i prezzi degli immobili continuavano a crescere, la domanda rimaneva costantemente a livelli sostenuti e la casa era davvero il bene rifugio per eccellenza.

Guardando al dettaglio di chi acquisterebbe una casa per i figli, non si sono riscontrate grandi differenze fra le diverse fasce d’età o le diverse regioni di residenza. Le uniche percentuali più elevate, seppur di poco, di chi comprerebbe un immobile sono quelle rilevate fra chi vive al Sud (54,38%) e fra chi ha più di 60 anni (58,23%).

La casa è l’unico bene durevole, soprattutto dove viviamo

Chi ha risposto al sondaggio dichiarando che ciò che lascerebbe ai figli è una casa, ha detto di pensarla in questo modo in quanto l’immobile è l’unico bene durevole da poter tramandare (41,65%). Oltre il 29%, invece, non ha fiducia nel futuro dei giovani e comprerebbe una casa per loro convinto del fatto che da grandi non saranno in grado di farlo da soli. Per il 18% la ragione va ricercata nella concezione dell’affitto come uno “spreco di soldi” che vorrebbero risparmiare ai loro figli, soprattutto se guardiamo alle regioni del Sud, dove questa percentuale è arrivata al 21%. Ciò indica che nel Meridione la locazione non è ancora concepita come alternativa alla vendita, nonostante i trend positivi del settore, ma è considerata un vero e proprio ripiego.

Si parla tanto di fuga di cervelli, eppure oltre il 60% dei genitori investirebbe in un immobile nella propria città. Solo il 19,2% guarderebbe al mercato delle grandi città italiane, poco più del 13% investirebbe in località di villeggiatura e appena il 6% farebbe un investimento all’estero.

Se non la casa…cosa?

Chi non ha espresso la sua preferenza verso la casa come bene in cui investire per i figli, ha distribuito le risposte in maniera abbastanza equa fra le altre soluzioni proposte nel sondaggio. Oltre il 16% partirebbe con un’attività di business che sia redditizia da tramandare, poco più dell’11% sceglierebbe una polizza vita, quasi il 15% investirebbe in fondi e prodotti finanziari e solo il 5,6% comprerebbe oro e diamanti. La ragione più ricorrente per cui non si è scelta la casa è quella di considerarla come un bene troppo costoso da mantenere, risposta indicata dal 43% del campione. Oltre il 30% non investirebbe in immobili perché incerto sul futuro dei propri figli e sulla città in cui vivranno. Solo il 9% ha detto di non potersi permettere una casa, mentre quasi il 3% è ancora più previdente ed eviterebbe di comprarne una per paura che il futuro partner del figlio, in caso di divorzio, possa tenersi l’immobile.

Realizzare una tettoia: permessi e accatastamento

Il regime per le tettoie, quando non di piccole dimensioni, richiede il permesso di costruire del Comune (la vecchia concessione edilizia) e l’accatastamento.

Le tettoie restano un sogno proibito: chi decide di realizzare una superficie coperta sul terrazzo, anche se può fare a meno del permesso del condominio, deve sempre chiedere l’autorizzazione al Comune e procedere all’accatastamento del manufatto. Sono esentati solo i piccoli manufatti, quelli che non creano spazi vivibili. Almeno così si è orientata sino ad oggi la giurisprudenza. Analizziamo i singoli adempimenti per realizzare una tettoia.

Tettoia: serve il permesso del condominio?

Chi costruisce una tettoia sul balcone o sul terrazzo non deve chiedere  il permesso al condominio, né all’amministratore. Deve però evitare di ledere il decoro architettonico dell’edificio e comprometterne la stabilità; ricorrendo una di tali ipotesi, l’assemblea può ordinare la rimozione dell’opera, anche attraverso un ricorso in via d’urgenza al giudice.

Tettoia: serve l’autorizzazione del Comune?

Quando la tettoia crea un’area vivibile, a prescindere dalla sua destinazione e dalla scopo per il quale viene realizzata, è necessario presentare “la pratica” in Comune e chiedere il cosiddetto «permesso di costruire» (la vecchia licenza edilizia). Diversamente scatta il reato di abuso edilizio e l’ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione, che può essere impartito anche numerosi anni dopo l’ultimazione dell’opera.

Questo è l’orientamento stabile del Consiglio di Stato (leggi Tettoia sul terrazzo: ci vuole il permesso di costruire?). Interessante è un precedente del Tar Campania secondo cui la tettoia aperta su tre lati, realizzata a copertura di un terrazzo, anche se di dimensioni rilevanti, non crea volumetria e, quindi, non richiede la licenza edilizia (leggi Tettoia aperta su tre lati, non serve il permesso di costruire).

Secondo l’orientamento espresso anche dalla Cassazione non è necessario il permesso a costruire per le strutture in ferro rimovibile e smontabile (tipo tettoia) non stabilmente infisse al suolo (che, pertanto, non sono accatastabili). Qualora invece la struttura dovesse essere permanente nel tempo (anche se utilizzata anche per riparare strumenti o materiali vari), si dovrà procedere all’accatastamento.

Accatastamento della tettoia

Anche la tettoia – così come tutti gli immobili urbani suscettibili di produrre reddito (anche semplici aree per il parcheggio auto) – sussiste l’obbligo di procedere all’accatastamento.

La legge elenca alcune eccezioni per gli immobili di modestissima consistenza (superficie inferiore a 8 metri quadrati, e sempre che non siano suscettibili di autonoma utilizzazione) oppure manufatti precari quali tettoie, porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, di altezza utile inferiore a 1,80 metri, purché di volumetria inferiore a 150 metri cubi.

Se la tettoia non rientra in queste previsioni, va dichiarata in catasto come unità immobiliare autonoma, oppure, se è a servizio di un’altra unità, come variazione di questa.

Imu e Tasi: chi paga, come si calcolano, versamento in ritardo

 

 

Versamento dell’Imu e della Tasi: chi è tenuto al pagamento, come calcolare le imposte, le sanzioni e gli interessi per il ritardo.

Ti sei dimenticato della scadenza dell’Imu e della Tasi e hai paura che ti arrivi la cartella? Non preoccuparti, perché hai la possibilità di pagarle in ritardo utilizzando il nuovo ravvedimento operoso.

In questa breve guida ti spieghiamo che cosa sono l’Imu e la Tasi, chi è obbligato a pagarle, come si calcolano le tasse e le sanzioni e gli interessi da ravvedimento.

Imu: che cos’è

L’Imu è l’imposta municipale unica: si tratta dell’imposta sugli immobili che sostituisce la vecchia Ici. L’Imu non è più dovuta sulla prima casa, escluse le abitazioni di lusso (categoria A1/A8 ed A9).

Imu: chi deve pagarla

L’Imu deve essere versata:

  • dai proprietari o dagli usufruttuari (o da chi possiede un altro diritto reale; il nudo proprietario non paga) di immobili diversi dalla prima casa, di aree fabbricabili e terreni;
  • da chi è assegnatario della casa coniugale, in caso di separazione o divorzio;
  • dai conduttori (inquilini) di immobili, in caso di stipula di leasing immobiliare;
  • dai concessionari di aree demaniali.

Imu: chi non deve pagarla

Sono esenti dall’Imu, oltre alle abitazioni principali non di lusso:

  • gli immobili di proprietà di persone anziane o disabili, se risultano ricoverate in modo permanente in istituti, nel caso in cui la casa non sia data in affitto;
  • gli alloggi sociali;
  • gli immobili di cooperative edilizie;
  • i terreni agricoli montani o semi-montani, o i terreni di proprietà di coltivatori e imprenditori agricoli professionali, o situati all’interno delle isole minori;
  • i terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale, a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile;
  • le unità immobiliari (massimo una) in possesso del personale di servizio permanente delle Forze armate o della Polizia, dei Vigili del Fuoco e del personale della carriera prefettizia, se non affittate;
  • le unità immobiliari (massimo una) di proprietà di un cittadino italiano residente all’estero e iscritto all’Aire, solo se già pensionato nel Paese dove risiede e se l’immobile non risulta né in affitto né in comodato d’uso.

Imu: agevolazioni

Se un immobile, ad uso abitativo, è concesso in comodato a familiari entro il primo grado di parentela, è prevista la riduzione del 50% della base imponibile, al rispetto di determinate condizioni.

Se l’immobile è affittato a canone concordato, l’Imu che si ottiene applicando l’aliquota comunale è ridotta al 75%.

Tasi: che cos’è

La Tasi è la tassa sui servizi indivisibili: è dovuta da chiunque possiede o detenga, a qualsiasi titolo, un fabbricato o un’area edificabile, ad eccezione, in ogni caso, dei terreni agricoli e dell’abitazione principale.

La Tasi, infatti, non è più dovuta sull’abitazione principale per i proprietari, ad esclusione delle abitazioni di lusso (categoria A1/A8 ed A9); gli inquilini non sono tenuti a pagare la loro quota Tasi se l’immobile affittato è l’abitazione principale.

Imu e Tasi: come si calcola la base imponibile

Prima di calcolare l’Imu e la Tasi, è necessario calcolare la loro base imponibile, ossia l’ammontare su cui applicare l’aliquota (cioè la percentuale) d’imposta. Il calcolo della base imponibile si effettua in questo modo, a seconda del tipo di immobile:

Tipologia immobile

Categoria catastale

Calcolo base imponibile

Abitazioni:garage, box, depositi, tettoie
A/1 A/2 A/3 A/4 A/5 A/6 A/7 A/8 A/9 C/2 C/6 C/7
Rendita Catastale x 1,05 x 160________________________________________

Uffici
A/10
Rendita Catastale x 1,05 x  80

Negozi
C/1
Rendita Catastale x 1,05 x  55

Laboratori artigianali,stabilimenti balneari, palestre
C/3 C/4 C/5
Rendita Catastale x 1,05 x 140

Scuole, collegi, ospedali, caserme
B/1 B/2 B/3 B/4 B/5 B/6 B/7 B/8
Rendita Catastale x 1,05 x  140

Capannoni industriali,
fabbriche, alberghi, centri commerciali

D/1 D/2 D/3 D/4 D/6 D/7 D/8
D/9 D/10
Rendita Catastale x 1,05 x  60

Terreni agricoli
Rendita Dominicale x 1,25 x  135

Terreni edificabili
Valore venale

Le aliquote sono stabilite dai comuni in misura differente, a seconda della categoria dell’immobile.

Imu e Tasi: le aliquote

Come anticipato, per determinare l’imposta dovuta, alla base imponibile devono essere applicate le aliquote, cioè le percentuali dovute a titolo d’imposta. Le aliquote sono diverse da comune a comune, ma possono variare:

  • per l’Imu, da un minimo dello 0,46% (0,40% in alcune casistiche particolari) e un massimo dell’1,06%;
  • per la Tasi, sino a un massimo dello 0,25%;
  • la somma delle aliquote dei due tributi non può superare lo 0,6%, per le abitazioni principali non considerate di lusso, e l’1,66% per tutti gli altri immobili.

Per sapere quale aliquota deve essere utilizzata, bisogna allora controllare le aliquote in vigore nel 2017, all’interno del sito web del proprio comune o prendendo visione delle delibere.

Imu e Tasi: ravvedimento operoso per pagamento in ritardo

Una volta quantificata l’imposta dovuta, se si paga dopo la scadenza, cioè dopo il 16 giugno per l’acconto o dopo il 16 dicembre per il saldo, devono  essere calcolate le sanzioni. Queste ultime non sono previste in misura fissa, ma in misura percentuale, che aumenta all’aumentare dei giorni di ritardo.

In particolare il contribuente può avvalersi del:

  • ravvedimento sprint: prevede la possibilità di sanare la propria situazione versando l’imposta dovuta entro 14 giorni dalla scadenza con una sanzione dello 0,1% giornaliero (in precedenza era 0,2%) del valore dell’imposta, più gli interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale;
  • ravvedimento breve: applicabile dal 15° al 30° giorno di ritardo, prevede una sanzione fissa del 1,5% (in precedenza era 3%) dell’importo da versare più gli interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale;
  • ravvedimento medio: è applicabile dopo il 30° giorno di ritardo fino al 90° giorno, e prevede una sanzione fissa del 1,67% (in precedenza era 3,33%) dell’importo da versare più gli interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale;
  • ravvedimento lungo: è applicabile dopo il 90° giorno di ritardo, ma comunque entro i termini di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è stata commessa la violazione; prevede una sanzione fissa del 3,75% dell’importo da versare più gli interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale.

Calcolo degli interessi

Come già esposto, perché un versamento possa considerarsi ravveduto non basta saldare la sanzione, ma è necessario anche il pagamento degli interessi legali.

L’ammontare del tasso d’interesse legale varia ogni anno: nel 2014 era pari all’1%, nel 2015 è sceso allo 0,50%, nel 2016 è sceso allo 0,2%, e nel 2017 è pari allo 0,1%.

La formula per calcolare gli interessi, relativa a ogni annualità, è la seguente:

  • imposta da pagare, moltiplicata per il tasso d’interesse legale, diviso 365, per il numero dei giorni di ritardo.

Ad esempio, se un contribuente deve pagare 400 euro di Imu 2017,  con 14 giorni di ritardo, il calcolo sarà:

  • [(400x 0,10%):365] x 14.

Quindi verserà  2 centesimi d’interessi (0,01534, arrotondato per eccesso).

Imu: come si compila l’F24

Per pagare l’Imu con ravvedimento operoso, bisogna compilare il modello F24, nella sezione Imu ed altri tributi locali, con i seguenti codici tributo:

  • 3912 per l’abitazione principale e relative pertinenze (solo per i non esenti);
  • 3914 per i terreni agricoli;
  • 3916 per le aree fabbricabili;
  • 3918 per altri fabbricati;
  • 3930 per “fabbricati ad uso produttivo gruppo “D” incremento Comune;
  • 3925 per “fabbricati ad uso produttivo gruppo “D” Stato.

Non esistono, al contrario di quanto era previsto per la vecchia Ici, dei codici appositi per il pagamento di sanzioni e interessi, perciò questi andranno sommati all’imposta principale, nello stesso codice tributo.

Tasi: come si compila l’F24

Per pagare la Tasi con ravvedimento operoso, dovrà essere compilato il modello F24, nella sezione Imu ed altri tributi locali, con i seguenti codici tributo:

  • 3958 per l’abitazione principale;
  • 3959 per fabbricati rurali ad uso strumentale;
  • 3969 per i servizi indivisibili per le aree fabbricabili;
  • 3961 per i servizi indivisibili di altri fabbricati.

I codici relativi al Ravvedimento operoso Tasi sono:

  • 3962 per gli interessi;
  • 3963 per le sanzioni.

venerdì 9 giugno 2017

Casa in comodato figlio o genitore: Imu e Tasi al 50%

 

Casa in comodato figlio o genitore: Imu e Tasi al 50%

L’AUTORE: Maria Monteleone

Maria Monteleone

Condizioni per beneficiare della riduzione Imu e Tasi 2017 per l’immobile concesso in comodato al genitore o al figlio.

La legge [1] prevede lo sconto del 50% della base imponibile Imu e Tasi per gli immobili ad uso abitativo concessi in comodato al parente in linea retta entro il primo grado (genitori e figli).

Il beneficio della riduzione della base imponibile non spetta però per gli immobili di lusso (categorie catastali A/1, A/8 e A/9).

Affinché la base imponibile Imu/Tasi possa essere ridotta del 50% nelle ipotesi di comodato al genitore o al figlio, devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

  • il contratto di comodato è registrato;
  • il comodante possiede un solo immobile in Italia: il Mef [2] ha chiarito che per possesso di “un solo immobile” in Italia da parte del comodante deve intendersi immobile ad uso abitativo. Pertanto, il possesso di un altro immobile che non sia destinato a uso abitativo non impedisce il riconoscimento dell’agevolazione;
  • il comodante risiede anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso Comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.

Il beneficio si applica anche nel caso in cui il comodante, oltre all’immobile concesso in comodato, possiede nello stesso Comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione sempre delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Non solo l’immobile concesso in comodato ma anche quello destinato dal comodante a propria abitazione principale non deve in nessun caso essere classificato nelle suddette categorie catastali che individuano le abitazioni di lusso.

Tutte le condizioni sopra riportate devono considerarsi necessarie ai fini del riconoscimento dell’agevolazione in oggetto, con la conseguenza che il venir meno di una sola di esse determina la perdita dell’agevolazione stessa.

Riduzione Imu/Tasi pertinenze

Nel caso in cui venga concesso in comodato l’immobile unitamente alla pertinenza (per esempio garage), a quest’ultima si applicherà lo stesso trattamento di favore previsto per la cosa principale nei limiti comunque fissati dalla legge: per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.

Tale conclusione si fonda sulla circostanza che il comodatario, per espressa previsione di legge, deve adibire a propria abitazione principale l’immobile concesso in comodato.

Per esempio: se oggetto del comodato è un appartamento con un garage (C/6) e una soffitta (C/2), allora la riduzione della base imponibile si applica a tutti gli immobili appena indicati mentre è ininfluente ai fini del riconoscimento del beneficio il fatto che il comodante possieda un altro garage (C/6).

Riduzione Imu/Tasi immobile rurale ad uso strumentale

Un caso particolare è quello in cui un soggetto possiede, oltre alla sola unità immobiliare ad uso abitativo che deve essere concessa in comodato, un immobile ad uso abitativo che però è definito come rurale ad uso strumentale.

Si tratta cioè di immobile destinato ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento.

A tale proposito, secondo il Mef, il possesso di detto immobile sebbene abitativo non preclude l’accesso all’agevolazione, poiché è stato lo stesso legislatore che, al verificarsi delle suddette condizioni, lo ha considerato strumentale all’esercizio dell’agricoltura e non abitativo.

Riduzione Imu/Tasi immobile in comproprietà coniugi

Nell’ipotesi in cui, ad esempio, due coniugi possiedono in comproprietà al 50% un immobile che viene concesso in comodato al figlio e il marito possiede un altro immobile ad uso abitativo in un Comune diverso da quello del primo immobile, la riduzione Imu/Tasi si applica solo con riferimento alla quota di possesso della moglie, nel caso in cui per quest’ultimo soggetto venga rispettata la condizione che prevede il possesso dell’unico immobile.

Presupposto che non si verifica invece nei confronti del marito, il quale dovrà quindi corrispondere l’imposta, per la propria quota di possesso, senza l’applicazione del beneficio in questione.

Diversa sarebbe stata, invece, la soluzione se il marito avesse posseduto l’altro immobile nello stesso Comune e lo avesse adibito ad abitazione principale. In questo caso, infatti, la condizione si sarebbe verificata per i due coniugi che avrebbero entrambi beneficiato della riduzione della base imponibile.

Nel caso in cui l’immobile in comproprietà fra i coniugi è concesso in comodato ai genitori di uno di essi, allora l’agevolazione spetta al solo comproprietario per il quale è rispettato il vincolo di parentela richiesto dalla norma e cioè solo al figlio che concede l’immobile ai propri genitori, in ragione della quota di possesso.

Riduzione Imu/Tasi immobili di cui uno in comproprietà

Nell’ipotesi in cui un soggetto possieda due immobili ad uso abitativo di cui uno in comproprietà in un Comune diverso da quello in cui è ubicato il secondo, posseduto al 100% e concesso in comodato, si deve invece ritenere che non sia applicabile il beneficio, indipendentemente dalla quota di possesso dell’immobile, poiché in tale fattispecie l’esclusione è determinata dalla circostanza che il soggetto non possiede un solo immobile in Italia così come richiesto dalla norma. Quest’ultima, infatti, non prevede come eccezione a tale limite il possesso di una quota di un altro immobile ad uso abitativo.

L’agevolazione in questo caso opera solo se l’immobile, posseduto in percentuale e ubicato nello stesso Comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato, è destinato a propria abitazione principale dal comodante.

note

[1] Legge di Stabilità 2016.

[2] Mef, Risoluzione 1/DF del 17.02.2016.

Quali autorizzazioni per la tettoia sul balcone

 

Quali autorizzazioni per la tettoia sul balcone

L’AUTORE: Redazione

 

Per realizzare una tettoia sul balcone non è necessaria l’autorizzazione dell’assemblea, salvo che il regolamento disponga diversamente.

È sempre più difficile (e costoso) acquistare una casa grande: le dimensioni delle abitazioni si sono ridotte all’essenziale, sicché il recupero di spazio mediante lavori all’interno o all’esterno dell’abitazione è diventato abbastanza comune. Tuttavia, tali attività sono soggette a due tipi di limiti: quelli amministrativi da un lato, relativi al rispetto della normativa urbanistica la quale potrebbe imporre la richiesta del «permesso di costruire» (la vecchia licenza edilizia), e quelli civili dall’altro lato, relativi al rispetto della normativa condominiale quando i lavori si inseriscono in un edificio con più di un proprietario, che potrebbero imporre il consenso dell’assemblea. Così è copiosa la giurisprudenza che specifica gli obblighi da rispettare per realizzare verande, tettoie, pergolati, soppalchi e pergotende. Quali sono le procedure che il proprietario dell’immobile deve rispettare per evitare problemi con il Comune, anche di tipo penale, e con il proprio condominio? Di tanto ci occuperemo in questo articolo, chiarendo più nel dettaglio quali sono le autorizzazioni per la tettoia sul balcone di un appartamento in condominio.

L’autorizzazione del Comune per la tettoia sul balcone

In generale quando si realizzano spazi abitabili o, comunque, volumetrie calpestabili è sempre necessario fare i conti con il permesso di costruire del Comune. Non fa eccezione la tettoia sul balcone per la quale è necessario appunto chiedere l’autorizzazione al Comune quando tale costruzione sia di dimensioni tali da creare un’utilità (ad esempio uno spazio vivibile al riparo dalla pioggia) e non sia un semplice decoro architettonico.

Secondo il Tar Napoli [1] la tettoia non può essere considerata pertinenza in quanto si configura come parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata, difettando di una propria individualità fisica e strutturale e per questo motivo è necessario il permesso di costruire.

Dello stesso parere il Tar Salerno [2] secondo cui, in tema di edilizia, necessita di permesso di costruire la costruzione di una tettoia in quanto essa incide sulla costruzione preesistente, pur costituendo pertinenza dell’immobile.

Il Tar Roma [3] precisa che la tettoia comportante una modificazione volumetrica e di sagoma priva del carattere della precarietà, essendo destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico, deve considerarsi abusiva, ove eseguita – come nella fattispecie – in assenza del permesso di costruire.

Il Tar Catanzaro [4] ha invece chiarito quando non è necessaria la licenza edilizia. In una recente sentenza si legge infatti che l’installazione di una tettoia apposta a parti di preesistenti edifici, in quanto struttura accessoria di protezione o di riparo di spazi liberi, può ritenersi sottratta al regime del permesso di costruire, ove la sua conformazione e le sue ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile le finalità di arredo o di riparo e protezione, anche da agenti atmosferici, dell’immobile cui essa accede.

Chiariamo un punto importante: realizzare una tettoia senza il permesso del Comune, laddove obbligatorio, costituisce abuso edilizio. Il reato si prescrive in 4 anni (5 anni se arriva l’avviso di garanzia), ma l’ordine di demolizione non cade mai in prescrizione e può essere intimato in qualsiasi momento.

L’autorizzazione del condominio per la tettoia sul balcone

La realizzazione della tettoia non richiede invece il permesso del condominio. Il proprietario che intende realizzare una tettoia sul balcone è tenuto soltanto a dare comunicazione dell’avvio dei lavori all’amministratore, senza però dover attendere il consenso di questi o dell’assemblea. Infatti, non potendo gli altri condomini porre limiti e vincoli alla proprietà esclusiva privata, il proprietario dell’appartamento può iniziare tranquillamente la realizzazione del manufatto.

In ogni caso il proprietario dell’appartamento deve fare attenzione a non:

  • modificare la sagoma dell’edificio in modo tale da pregiudicare il decoro architettonico dello stesso;
  • non compromettere la stabilità dell’edificio.

Se dovesse ricorrere una di tali due condizioni, il condominio avrebbe il potere di ricorrere al giudice per chiedere la demolizione della tettoia. Se il condòmino vuol preservarsi dal rischio di realizzare l’opera e poi ritrovarsi in giudizio con il condomìnio può chiedere la preventiva autorizzazione all’assemblea la quale, una volta data, non può più cambiare idea e chiedere la rimozione del manufatto.

È bene però considerare che il regolamento di condominio potrebbe prevedere regole differenti, ma solo a condizione che si tratti di un regolamento approvato all’unanimità (il che può avvenire con votazione di tutti i condomini in assemblea o con sottoscrizione del regolamento, all’atto del rogito, nel momento in cui singolarmente tutti i proprietari acquistano l’appartamento dal costruttore). Solo un regolamento votato all’unanimità può imporre di chiedere, prima della realizzazione della tettoia, il permesso al condominio. A chiarirlo è stata la Cassazione [4] con una recente sentenza. In tal pronuncia si legge che il regolamento di condominio, sia esso contrattuale (quando è predisposto dall’originario unico proprietario o dal costruttore) oppure convenzionale (in quanto adottato in assemblea con il consenso unanime di tutti i condòmini), può imporre limitazioni ai diritti degli stessi in ordine alla proprietà comune ed a quella privata.

Sulla scorta di ciò il regolamento di condominio può anche fornire una definizione più rigorosa del concetto di «decoro architettonico», imponendo ad esempio il rispetto di particolari simmetrie, estetica e aspetto generale del fabbricato per come originariamente edificato.

Insomma prima di realizzare una tettoia sul balcone è sempre bene leggere con scrupolo il regolamento di condominio perché questo, se è stato approvato all’unanimità, potrebbe contenere un vincolo di immodificabilità del fabbricato senza il consenso dell’assemblea condominiale. Se però non c’è una simile clausola le opere eventualmente realizzate devono ritenersi legittime, ferma restando l’assenza di pregiudizio alla solidità e sicurezza all’edificio.

note

[1] Tar Napoli, sent. n. 1351/2017.

[2] Tar Salerno, sent. n. 1816/2016.

[3] Tar Roma, sent. n. 7877/2016.

[4] Tar Catanzaro, sent. n. 977/2016. In senso conforme, T.A.R. Molise, Sez. I, 29 gennaio 2016 n. 43, in www.giustizia-amministrativa.it e T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 9 luglio 2015 n. 1882, in Foro amm., 2015, 7-8, 2124, che precisa come gli interventi consistenti nell’installazione di tettoie (o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi) “non possono, invece, ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando abbiano dimensioni tali da arrecare una visibile alterazione del prospetto e della sagoma dell’edificio. In quest’ultimo caso, la realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata ad regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10 comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R.”. Nei medesimi termini, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 22 aprile 2014 n. 2257 e 24 ottobre 2013 n. 4722, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it. Si esprime, invece, nel senso della necessità del permesso di costruire, stante la natura non pertinenziale della tettoia realizzata, Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2016 n. 19, in questa Rivista, 2016, 1-2, 121. In tale ultimo senso, anche Cons. Stato, Sez. IV, 5 agosto 2013 n. 4086, ivi, 2013, 6, I, 1251, che invece prescinde dalla natura pertinenziale o meno dell’opera per affermare la necessità del titolo abilitativo, considerando invece dirimente l’idoneità del manufatto a determinare una stabile trasformazione urbanistico-edilizia del territorio.

[5] Cass. sent. n. 12190/17 del 16.05.2017. La Corte richiama il proprio principio per cui «le norme di un regolamento di condominio – aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini, ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini – possono derogare od integrare la disciplina legale, essendo consentito all’autonomia privata di stipulare convenzioni che pongano nell’interesse comune limitazioni ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti condominiali, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle porzioni di loro esclusiva proprietà. Ne consegue che il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (Cass., Sez. 2, n. 1748 del 24/01/2013)».

Tende e verande: le distanze dal piano di sopra

 

Tende e verande: le distanze dal piano di sopra

L’AUTORE: Redazione

 

Distanza di tre metri da rispettare solo per la veranda costruita sotto una finestra; le tende retraibili e le verande sotto i balconi non devono comunque togliere la veduta al piano di sopra.

Quante volte capita che il vicino del piano di sotto installi una tenda a copertura del proprio balcone così impedendo, a noi che abitiamo di sopra e che ci affacciamo dalla nostra finestra, di vedere il cortile o la strada? Peggio vanno le cose quando il vicino realizza una veranda, struttura sicuramente più stabile e definitiva rispetto a una tenda. Si può impedire che una tenda o una veranda ci tolgano aria e luce e rispettino una distanza minima rispetto al piano di sopra? Cosa prevede la legge? Di tanto parleremo in questa breve guida.

Qual è la distanza minima tra costruzioni?

Spesso, quando si parla di distanze minime tra costruzioni, si pensa ai muri, alle tettoie, ai gazebi o ai pergolati posti su terreni prospicienti, ossia l’uno di fronte all’altro. In realtà, la norma del codice civile [1], che fissa in tre metri la distanza minima che deve necessariamente esserci tra costruzioni, si applica anche in senso verticale, quando cioè si tratta di due appartamenti all’interno dello stesso stabile che insistono sulla medesima linea in appiombo. Dunque, se il vicino del piano di sotto decide di realizzare una veranda, un pergolato, una tettoia o di installare una tenda sul proprio balcone, dovrà rispettare i diritti di chi vive di sopra e che da tale manufatto potrebbe essere pregiudicato. Il panorama, l’aria, la luce sono infatti utilità connesse alla proprietà, che vengono in un certo senso acquistate insieme all’appartamento e che nessuno può togliere.

Qual è la distanza minima per le tende?

Vi sono però delle opere che sfuggono, in considerazione della loro natura, al regime delle distanze legali: è il caso, ad esempio, di una tenda scorrevole di stoffa. Secondo la Cassazione [2], la tenda retraibile non può considerarsi una «costruzione» e, pertanto, può anche essere installata a una distanza inferiore ai tre metri previsti dalla legge. In ogni caso, la tenda non deve però comportare, in danno del condomino che vive al piano di sopra, una diminuzione del godimento dell’aria, della luce e della possibilità di esercitare la veduta in appiombo sullo spazio sottostante. In altri termini, la dimensione e la collocazione della tenda non deve impedire al vicino di potersi affacciare e guardare il giardino o la strada sottostante, valutazione quest’ultima che non può essere fatta a priori (con la definizione di una distanza minima, non essendo in presenza di una «costruzione»), ma dovrà avvenire caso per caso.

Qual è la distanza minima per la veranda?

Diverso invece il caso della veranda che, realizzata da un condomino sul proprio balcone, dovesse protendersi in altezza a distanza inferiore a quella legale rispetto alla finestra del sovrastante appartamento, di proprietà di un altro condominio. A riguardo, i giudici della Cassazione [3] hanno detto che se la veranda è più vicina di tre metri rispetto alla parte inferiore della finestra del condomino del piano di sopra, essa va abbassata in modo da rispettare la distanza minima fissata dal codice civile.

Non si è invece tenuti al rispetto dei tre metri di distanza se la veranda viene posta non già sotto una finestra, ma un balcone. Sempre secondo la Cassazione, quando nella verticale vi è un altro balcone, la veranda può essere realizzata anche a distanza più ravvicinata, purché però insista esattamente sulla medesima area del predetto balcone su cui viene costruita, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e in appiombo da parte del proprietario del balcone sovrastante [4].

Quali autorizzazioni ci vogliono per tende e verande?

Ricordiamo che per l’installazione di tende e verande non c’è bisogno dell’autorizzazione preventiva del condominio o dell’amministratore. Se però la costruzione lede il decoro architettonico dello stabile o ne mina la stabilità può essere contestata e fatta demolire con richiesta promossa, innanzi al giudice, dal condominio medesimo. L’autorizzazione preventiva data dall’assemblea però impedisce qualsiasi contestazione successiva.

Quanto invece al regime edilizio, la costruzione deve essere conforme alle norme urbanistiche. Il che significa che per le verande è necessario il permesso di costruire del Comune. Per le tende, invece, se si tratta di struttura leggera e mobile non c’è bisogno di alcuna concessione edilizia.

note

[1] Art. 907 cod. civ.

[2] Cass. sent. n. 2873/1991: «Le disposizioni sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti fra condomini di un edificio, non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto dell’art. 907 dello stesso codice; tuttavia non può considerarsi “costruzione” vietata da quest’ultima disposizione una tenda di tela scorrevole con comando a manovella, pur se situata a distanza inferiore a tre metri dal balcone o dalla finestra del piano sovrastante, ancorché siano necessari per farla funzionare dei sostegni fissi, atteso che tale tenda non pregiudica permanentemente la “prospectio” nè diminuisce l’aria e la luce al condomino del piano sovrastante».

[3] Cass. sent. n. 682/1984: «Le norme sulle distanze in materia di vedute, in quanto compatibili con la disciplina della comunione, sono applicabili nei rapporti tra le singole proprietà di un edificio condominiale, quand’anche uno dei condomini utilizzi parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c.. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha confermato la decisione di merito che aveva condannato un condomino ad abbassare la veranda realizzata sulla terrazza del suo appartamento, con appoggio della relativa tettoia ad un muro perimetrale dell’edificio, sino ad osservare la distanza ex art. 907 c.c. da una finestra del sovrastante appartamento)».

[4] Cass. sent. n. 3109/1993: «Il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, non è soggetto, rispetto a questa, all’osservanza delle distanze prescritte dall’art. 907 c.c. nel caso in cui la veranda insista esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del balcone sovrastante, giacché l’art. 907 citato non attribuisce a quest’ultimo la possibilità di esercitare dalla soletta o dal parapetto del suo balcone una inspectio o prospectio obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l’interno della sottostante proprietà».

Autore immagine: 123rf com

giovedì 8 giugno 2017

Imu, le categorie catastali esenti

 

Notizie immobiliari|team

Non tutti i proprietari di casa sono chiamati a pagare l'Imu, tutto dipende dalla categoria catastale a cui appartiene l'immobile che possiedono. Vediamo quali sono le categorie catastali esenti e quelle che non sfuggono dalla morsa dell'imposta sulla casa.

Per quanto riguarda la prima casa sono esenti gli immobili adibiti ad abitazione principale che rientrano nelle seguenti categorie catastali: A/2 abitazioni di tipo civile; A/3 abitazione di tipo economico, A/4 abitazioni di tipo popolare, A/5 abitazioni di tipo utrapopolare; A/6abitazioni di tipo rurale; A/7 villini. A pagare sono invece gli immobili che rientrano nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, ovvero case signorili, ville e castelli. 

imu seconda casa chi deve pagare

Per quanto riguarda gli immobili diversi dall'abitazione principale, i proprietari dovranno procedere al pagamento della tassa. Sempre e quando questa non rientri nei casi che danno diritto a riduzioni o esenzioni

Modalità pagamento Tasi e Imu 2017

 

Notizie immobiliari|team

Gtres 

 

E' già cominciato il conto alla rovescia per il pagamento del 16 giugno dell'Imu e della Tasi per il 2017. Ecco quali sono le modalità di pagamento per le imposte della casa.

Modello f24 per imu e tasi

Per il pgamento dell'Imu e della Tasi per il 2017 contribuenti dovranno utilizzare i modello F24, reperibile presso gli sportelli bancari e gli uffici postali. Il pagamento può essere effettuato anche online, oppure attraverso gli intermediari fiscali abitlitati (commercialisti e consulenti fiscali).

Nel modello f24, la sezione da compilare è quella relativa a "sezione imu e altri tributi locali" , e gli importi da versare si indicano nella colonna "importi a debito versati" con le seguenti indicazioni

  • Spazio "codice ente/codice comune" è riportato il codice catastale del comune nel cui territorio sono situati gli immobili
  • Spazio "ravv" barrare la casella se il pagamento si riferisce al ravvedimento
  • Spazio "acc" barrare se il pagamento si riferisce all'acconto
  • Spazio "acconto" barrare se il pagamento si riferisce all'acconto, "saldo", se si riferisce al saldo. Se il pagamento è effettuato in unica soluzione per acconto e saldo, è necessario barrare entrambre le caselle
  • Spazio "numero immobili" indicare il numero degli immobili (massimo 3 cifre)
  • Spazio "anno di riferimento" deve essere indicato l'anno di imposta cui si riferisce il pagamento. Nel caso in cui sia barrato lo spazio "ravv" indicare l'anno in cui l'imposta avrebbe dovuto essere versata
  • Codice tributo per il pagamento di Imu e Tasi

Bollettino postale Imu Tasi
Il versamento può essere effettuato anche mediante un bollettino postale. In tal caso, il numero di conto corrente (1008857615, uguale per tutti i comuni italiani) e l’intestazione sono già prestampate. Sul bollettino bisognerà indicare:

  • l’importo dovuto;

  • il codice del comune;

  • il numero dei fabbricati posseduti in quel comune;

  • se si tratta di versamento in acconto oppure a saldo.