mercoledì 28 febbraio 2018

Mutui accessibili e mercato in ripresa, ma prezzi fermi secondo Bankitalia


News Gruppo Immobiliare.it|Federica Tordi


Sono state più di 1.500 le agenzie immobiliari che la Banca d’Italia ha interpellato nel suo consueto sondaggio congiunturale. E il responso è stato unanime: con oltre l’83% delle imprese che hanno venduto almeno un’abitazione, nel quartro trimestre del 2017 la domanda sul mercato in Italia è migliorata. Tuttavia, l’aumento dei prezzi che molti economisti auspicano sembra ancora piuttosto lontano.

Mutui più accessibili

Tra i fattori responsabili della ripresa, sicuramente ci sono i mutui: che oltre ad avere toccato i minimi storici per quanto riguarda i tassi di interesse, vengono anche concessi più facilmente alle famiglie. Sono infatti appena il 15% circa gli agenti che hanno dichiarato di avere perso un mandato perché il potenziale acquirente non è riuscito a ottenere il prestito desiderato dalla propria banca. Può sembrare una percentuale ancora piuttosto alta, e invece è quella più bassa da quando è stato introdotto questo tipo di rilevazione, ovvero dal 2009.

I prezzi rimangono inchiodati

Sebbene i giudizi sulla stabilità dei prezzi siano prevalenti, molti agenti hanno segnalato alla Banca d’Italia una pressione sul ribasso. Il numero di operatori che hanno notato una crescita positiva è infatti diminuito rispetto a quelli che hanno indicato una diminuzione, soprattutto nelle aree del Centro Italia (con un saldo negativo tra i primi e i secondi che è passato dal -21,9% della fine del terzo trimestre al -23,8% del quarto). Nelle regioni del Nord Ovest così come nel Sud del Paese, invece, la tendenza sembrerebbe più favorevole.

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Fondo garanzia prima casa, dove trovare l'elenco delle banche aderenti



Chi è interessato ad accedere al Fondo di garanzia per i mutui per la prima casa e non sa a quale istituto di credito rivolgersi non deve far altro che controllare l’elenco delle banche aderenti. Trovarlo è semplice, basta consultare il sito di Consap.

L’elenco è in continuo aggiornamento e permette di individuare le banche aderenti in grado di venire incontro al richiedente. Una volta individuato l’istituto di credito aderente all’iniziativa occorre presentare la domanda di accesso al Fondo, utilizzando l’apposita modulistica.

Il Fondo di garanzia per i mutui per la prima casa è stato istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la legge di Stabilità 2014. Si tratta di uno strumento volto a favorire l’accesso al credito da parte delle famiglie per l’acquisto e l’efficientamento energetico della casa di abitazione.

Si ricorda che il richiedente, alla data di presentazione della domanda di mutuo, non deve essere proprietario di altri immobili ad uso abitativo salvo quelli acquistati per successione mortis causa, anche in comunione con altri successori, e in uso a titolo gratuito a genitori o fratelli.

L’immobile ad uso abitativo deve essere sito nel territorio nazionale inoltre, non deve rientrare nelle categorie catastali A1 (abitazioni di tipo signorile), A8 (ville) e A9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici) e non deve avere le caratteristiche di lusso indicate nel decreto del Ministero dei Lavori pubblici in data 2 agosto 1969, n. 1072.

Il mutuo ipotecario deve essere di importo non superiore a 250.000 euro, concesso dalla banca o intermediario finanziario che ha aderito all’iniziativa in base al Protocollo di intesa sottoscritto l’8 ottobre 2014 tra Ministero dell’Economia e delle Finanze e Abi.

E’ previsto un tasso calmierato del finanziamento (tasso effettivo globale - TEG non superiore al tasso effettivo globale medio - TEGM (pubblicato trimestralmente sul sito del MEF per le seguenti categorie:

  • giovani coppie (dove almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni);
  • nuclei familiari monogenitoriali con figli minori;
  • giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico;
  • conduttori di alloggi di proprietà degli IACP, comunque denominati.

Mutuo e acquisto prima casa, ecco alcune agevolazioni



Anche nel 2018 le fasce più deboli della popolazione possono acquistare una casa. Questo grazie ad alcune agevolazioni e a diversi strumenti finanziari. Vediamo quali.

Fondo garanzia prima casa – Il fondo rilascia la garanzia statale per mutui fino a 250.000 euro. Si tratta di uno strumento gestito da Consap (concessionaria pubblica di servizi assicurativi) e grazie al quale i soggetti che non hanno solide garanzie finanziarie da presentare alle banche hanno più facile accesso al credito. Il fondo, infatti, rilascia garanzia a copertura di un massimo del 50% della quota capitale.

Fondo solidarietà mutui acquisto prima casa – Questo fondo, gestito sempre da Consap, va in soccorso delle famiglie che nel corso di quest’anno dovessero essere in difficoltà nel pagare le rate del mutuo. Il fondo è stato istituito dalla legge 244/2017. In caso di perdita di lavoro o insorgere di un’invalidità, ad esempio, si può chiedere la sospensione delle rate. In base a quanto previsto, l’Isee del nucleo familiare non deve superare i 30.000 euro e il mutuo i 250.000 euro ed è possibile saltare le rate per 18 mesi complessivi, divisi anche in due periodi diversi. Nel corso della sospensione, il fondo paga gli interessi alle banche, il proprietario della casa poi ripagherà il capitale allungando la rata del mutuo. E’ da ricordare poi che l’Abi ha prorogato fino al prossimo 31 luglio l’accordo con le associazioni dei consumatori sulla sospensione della sola quota capitale dei finanziamenti concessi alle famiglie per l’acquisto di un’abitazione o dei crediti al consumo.

Leasing immobiliare residenziale – Il leasing immobiliare residenziale consente fino al 31 dicembre 2020 di abitare una casa fin dal momento della sottoscrizione del contratto pagando un canone, ma rinviando la decisione di acquisirla in proprietà. Chi ha un reddito inferiore a 55.000 euro e un’età inferiore a 35 anni può detrarre dall’Irpef il 19% sui canoni di leasing, entro il limite di 8.000 euro l’anno, e sulla rata di riscatto finale per un importo non superiore a 20.000 euro, per chi ha oltre 35 anni queste cifre sono dimezzate.

Ristrutturazione in proprio della casa, spetta la detrazione Irpef?


Gtres 

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito a chi compete la detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio.

All’interno della rubrica “La Posta” di Fisco Oggi è stato posto il seguente quesito:

Ho intenzione di ristrutturare in proprio la mia abitazione. Ho diritto alla detrazione Irpef per recupero edilizio?

L’Agenzia delle Entrate ha così risposto:

La detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, prevista dall’articolo 16-bis, Tuir, compete anche a chi esegue in proprio i lavori sull’immobile, limitatamente alle spese sostenute per l’acquisto dei materiali utilizzati.

Si ricorda che la legge di Bilancio 2018 ha prorogato fino al 31 dicembre 2018 la misura potenziata della detrazione (50%, da calcolare su un importo massimo di 96.000 euro per unità immobiliare).

Ristrutturazione nel 2017 e acquisto mobili nel 2018: si ha diritto al bonus?


 

Uno dei quesiti proposti a Fisco Oggi, la rivista telematica dell'Agenzia delle Entrate, riguarda la possibilità di usufruire del cosiddetto bonus mobili se i lavori di ristrutturazioni sono stati effettuati nel 2017 e gli acquisti di mobili e di elettrodomestici nel 2018.

Secondo l'Agenzia delle Entrate la risposta è affermativa. Secondo quanto stabilisce l'ultima legge di Bilancio, infatti, è possibile usufruire della detrazione Irpef del 50% per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici effettuato nel 2008 per arredare un immobile oggetto di lavori di ristrutturazione, sempre e quando, tali lavori abbiano avuto inizio a partire dal 1º gennaio 2017.

Indipendentemente dall'ammontare della spese, l'importo massimo per cui si può avere diritto al bonus è di 10mila euro, ripartiti in 10 quote annuali di pari importo.

Superficie immobili di lusso: nuova sentenza della Cassazione conteggiati anche i sottotetti e i seminterrati


 

Per il calcolo della superficie utile di un immobile, fattore determinante per la sua classificazione come "abitazione di lusso", devono essere conteggiati anche i sottotetti e i seminterrati. A dirlo una recente sentenza della Corte di Cassazione.

Immobili di lusso e agevolazioni prima casa

Le agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa non si applicano alle abitazioni di lusso, rientranti nelle categorie A1, A8 e A9. In base al DM del 2 agosto 1969 devono essere considerate di lusso le singole unità immobiliari aventi superficie complessiva superiore a 240 m2. Non entrano a far parte del computo della superficie i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e il posto macchine.

Secondo la sentenza delle Cassazione 2010/2018, intervenuta in un contezioso tra l'Agenzia delle Entrate e un neoproprietario di un immobile considerato di lusso dal Fisco, tutti gli altri ambienti non previsti dal Dm - nel caso in oggetto sottotetti e seminterrati - devono essere computati nella superficie utile alla classificazione dell'immobile.

Trattandosi di un immobile di lusso, quindi, la prima casa non usufruisce delle agevolazioni fiscali e l'acquirente deve versare per intero le imposte di registro, ipotecarie e catastali.

fonte idealista

domenica 18 febbraio 2018

2018: tutto sui bonus ristrutturazione e mobili




La legge di bilancio 2018 prevede anche per quest’anno una serie di detrazioni legate all’ammodernamento degli immobili. Facciamo un po’ di chiarezza grazie alla guida dell’agenzia delle entrate che spiega le modalità e i requisiti per ottenerle.

Bonus ristrutturazione o ecobonus?

Una delle novità del 2018 è che l’ecobonus per la sostituzione di caldaie, finestre e schermature solari è stato ridotto dal 65% al 50%, diventando di fatto pari al bonus ristrutturazione. Ma allora quale dei due scegliere? Prima di tutto chiariamo che l’ecobonus è una detrazione Irpef e Ires e pertanto rappresenta l’unica agevolazione a cui possono accedere le imprese. Inoltre, riguarda gli edifici esistenti di tutte le categorie catastali. Il bonus ristrutturazione, invece, consiste in una detrazione Irpef, interessa solo i privati e coinvolge unicamente gli immobili residenziali. 

Di conseguenza, la possibilità di scegliere fra l’uno e l’altro si ha in questi casi:

  • Privato cittadino
  • Si vuole ristrutturare un immobile residenziale
  • Si vogliono sostituire i serramenti, le caldaie a biomassa o le caldaie a condensazione in classe A

L’ecobonus è invece l’unica soluzione nel caso di:

  • Imprese
  • Privati cittadini che devono ristrutturare edifici non residenziali
  • Acquisto e posa in opera di schermature solari

Altre differenze

Il bonus ristrutturazione non vale in caso di lavori di manutenzione ordinaria e ha un limite di spesa complessivo di 96 mila euro, mentre l’ecobonus ha solo tetti massimi dedicati per ogni intervento (per esempio 30.000 euro per la sostituzione di impianti di climatizzazione). Inoltre, dal 2018 chi si avvale dell’ecobonus potrà optare per la cessione del credito di imposta ai fornitori che hanno effettuato gli interventi o ad altri soggetti privati, tranne che alle banche.

Bonus mobili 2018

È stata prorogata al 31 dicembre 2018 la detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici di classe non inferiore alla A+ (A per i forni), destinati ad arredare un immobile oggetto di ristrutturazione, purché gli interventi di ristrutturazione siano iniziati non prima dell’1 gennaio 2017 (o dell’1/1/2016 in caso di acquisti realizzati nel 2017). Come per il 2017, anche nel 2018 la detrazione deve essere calcolata su un importo complessivo non superiore a 10.000 euro e spetta anche quando i beni acquistati sono destinati ad arredare un ambiente diverso dello stesso immobile oggetto di intervento edilizio. Questi, infine, i documenti da conservare per effettuare la richiesta:

  • ricevuta del bonifico
  • ricevuta di avvenuta transazione (per i pagamenti con carta di credito o di debito)
  • documentazione di addebito sul conto corrente
  • fatture con indicate la natura, la qualità e la quantità dei beni e dei servizi acquisiti

di Laura Fabbro

News Gruppo Immobiliare.it|Giulia Rabbone

Mercato immobiliare in ripresa ma non aumentano i prezzi



A poche settimane dalle prossime elezioni politiche, che potrebbero avere ripercussioni anche sul mercato immobiliare, l’agenzia di rating S&P Global Ratings ha analizzato la situazione in Italia, che così si può riassumere: il generale miglioramento economico ha reso più veloci le compravendite di casa, ma non ha ancora portato a un aumento dei prezzi.

Bene il mercato delle nuove costruzioni

Anche grazie a tassi di interesse ai minimi storici, le compravendite di immobili sono in aumento, sebbene il ritmo di crescita sia più lento rispetto a quello del 2016. Per quanto riguarda i prezzi, invece, sono ancora in calo quelli delle abitazioni residenziali preesistenti, mentre si sono alzati dello 0,6% quelli delle nuove soluzioni, che però rappresentano solo il 19% di tutte le compravendite del 2017.

Il divario tra domanda e offerta è destinato a colmarsi

S&P Global Ratings ritiene che nel 2018 la crescita del Pil si attesterà all’1,5%, supportando la domanda nel mercato immobiliare e riducendo al tempo stesso l’eccesso di offerta. Se l’andamento economico confermerà questa previsione, si avrà di conseguenza un’ulteriore riduzione dei tempi di vendita a cui si accompagnerà anche un incremento del costo degli immobili.

Mercato europeo variabile

Se questo è il quadro generale italiano, in Europa le previsioni variano da Paese a Paese: molto positive nella penisola iberica, con aumento dei prezzi in Portogallo e riduzione degli stock di abitazioni invendute in Spagna, più incerto nel Regno Unito, dove le conseguenze della Brexit potrebbero incidere anche sul mercato immobiliare e sul costo delle case in particolare.

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News Gruppo Immobiliare.it|Federica Tordi

Come calcolare il valore di mercato di un immobile



Il quartiere, lo stato della manutenzione, la grandezza dell’abitazione, le finiture, la presenza dell’ascensore piuttosto che di un terrazzo o di un grande giardino e la classe energetica. Questi sono i fattori che normalmente vengono ritenuti più importanti e quindi valutati per definire il prezzo di un’abitazione, ma sono sufficienti? E quanto incidono veramente in percentuale sul costo? Abbiamo intervistato tre professionisti e abbiamo capito che non è semplice stabilire il valore di mercato di un immobile. Per prima cosa è necessario considerare la posizione e il contesto e poi lo stato dell’appartamento, ma tanti sono i fattori e ancora di più le variabili che possono influenzare il prezzo finale.

Ne abbiamo parlato con:

Martina Margaria, Milano Abita Srl

Enzo Ottanelli, Agenzia Immobiliare Ottanelli

Bruna Pettinari, Pettinari Agenzia Immobiliare

Agenzia Immobiliare Ottanelli - Trova più idee per case e interni

«Non esiste un elenco preciso che indichi quali siano i valori da considerare per definire il prezzo di un immobile – esordisce Enzo Ottanelli – poiché le variabili sono diverse e i fattori cambiano anche in relazione alla tipologia dell’immobile». A parità di condizioni, quindi, un appartamento in condominio, una villetta a schiera o indipendente avranno un valore diverso.

Ottanelli precisa: «Viene considerato anche il quartiere, la metratura, lo stato di manutenzione degli impianti, le condizioni del tetto e degli infissi. E non dimentichiamo la posizione: l’abitazione è al piano? Dove affaccia? Si trova lungo una strada rumorosa e trafficata? Vicino ha negozi o supermercati, scuole e impianti sportivi? Anche la presenza di un’ascensore influenza il prezzo e così la superficie delle eventuali pertinenze, il cui valore cambia in funzione della destinazione d’uso e delle caratteristiche del quartiere». Questo significa che il posto auto o il garage, per esempio, possono incidere in maniera differente in relazione alla facilità di poter parcheggiare in zona.

A fronte di queste variabili, Ottanelli consiglia: «Comparare almeno tre immobili simili già venduti nell’ultimo anno nel medesimo quartiere è un valido aiuto».

Non sottovalutare le spese di costruzione

Bruna Pettinari ritiene che prima di tutto influenzino sul valore le spese di costruzione: «Il prezzo di una casa è un complicato intreccio tra mercato e costi sostenuti dal costruttore. Ad esempio sul nuovo incideranno il costo di costruzione, gli oneri comunali e le spese tecniche, il costo dell’area fabbricabile o della demolizione e il ricavo d’impresa».

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Al primo posto, la posizione

Definite le spese di costruzione, i successivi fattori da considerare «sono sicuramente la posizione e la zona» prosegue Pettinari. Se in un determinato quartiere o in una posizione la domanda è più alta, anche il costo sarà maggiore. «Questo fattore può incidere sul prezzo con una percentuale variabile tra il 40 e il 80%. Cosa intendo? Se parliamo di un attico in Piazza di Spagna a Roma, quindi di un immobile unico nel suo genere, è ovvio che la posizione inciderà dell’80%, mentre tutti gli altri fattori passeranno in secondo piano».

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Una conferma arriva anche dall’architetto Martina Margaria: «Le variabili sono diverse, penso però che il contesto incida molto, almeno il 50%. Per esempio due appartamenti di 150 metri quadrati con uguali caratteristiche, il primo alle porte di Milano e il secondo in una delle vie più lussuose della città, possono costare 300 mila euro l’uno e 2 milioni l’altro».

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Al secondo posto, lo stato dell’immobile

A seguire troviamo lo stato dell’immobile: «Può incidere tra il 20 e il 50%: questa forbice dipende dalle condizioni dell’appartamento poiché se non sono necessari lavori extra sarò disposto a spendere di più rispetto a un’abitazione dove dovrò sostenere delle altre spese per renderlo abitabile». Le fa eco Margaria: «In un’ipotetica scala di valori, al secondo posto vi è la tipologia dell’immobile e lo stato di conservazione, quindi anche se le finiture e i materiali scelti sono di pregio o no. In una casa ristrutturata questo valore può influenzare il prezzo fino al 40% in più».

Francesco Antoniazza - Scopri altre foto di facciate di case

Vecchia e nuova costruzione, cosa c’è di diverso?

A proposito di immobile nuovo o ristrutturato, Pettinari spiega: «Se l’appartamento è vecchio vengono valutati maggiormente i parametri antisismici, gli isolamenti termici e acustici e l’esterno della palazzina. Quando parliamo di ristrutturazione, possiamo trovarci di fronte a una casa che internamente è paragonabile a una nuova costruzione, ma esternamente fa sempre parte di una palazzina costruita in tempi più o meno remoti, con tecnologie molto spesso ormai obsolete».

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Al terzo posto, la superficie

La dimensione dell’abitazione è al terzo posto, mentre al quarto vi sono altri fattori. Per esempio l’ascensore: «È importante però precisare che l’ascensore incide di poco, il 15% circa, se sto valutando un appartamento al primo piano o al piano terra; se invece parliamo di una casa in un condominio di 12 piani, avrà un’incidenza maggiore».

Rientrano negli altri valori da valutare «l’anno di costruzione, soprattutto per quanto riguarda l’antisismicità, la classe energetica e i lavori condominiali da effettuare. Questa voce può variare dal 10 al 30%» dice Pettinari.

Arch. Riccardo Picchianti - Trova più foto di facciate di case

Da provincia a provincia, tutto cambia?

Il valore che può cambiare da provincia a provincia è «quello relativo all’anno di costruzione; se in una zona ad elevato rischio sismico si prediligono nuovi immobili in quanto garantiscono una maggiore sicurezza, in zone dove non vi è rischio sismico questo parametro non viene neanche valutato» spiega Pettinari.

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Autore: houzz

sabato 17 febbraio 2018

Mutuo cointestato ma casa intestata ad un solo coniuge: si può?



Sto acquistando un immobile e sono in comunione dei beni. Il preliminare l’ho firmato solo io senza indicare l’esclusione dalla comunione. Ho chiesto un mutuo per questo immobile però in comunione di beni e quindi firmato da me e mio marito. L’immobile però in sede di rogito deve risultare intestato ad un solo coniuge. Può l’altro coniuge nel rogito rinunciare alla proprietà dello stesso e farlo intestare solo ad un coniuge che diventa quindi l’unico proprietario ed intestatario pur rimanendo il mutuo cointestato in comunione dei beni? Non voglio fare la separazione dei beni fiscali e patrimoniali.

La risposta alla domanda è negativa innanzitutto per un principio generale che determina la caduta in comunione legale dei beni di ogni acquisto effettuato, anche da un coniuge soltanto, durante il matrimonio (art. 177 comma 1 lett. a) cod. civ.). A tale regola infatti fanno eccezione esclusivamente i casi tassativamente previsti dall’art. 179 cod. civ. tra i quali non è ravvisabile quello portato dalla lettrice in evidenza.

A ben vedere infatti, la lettera f) di tale norma da ultimo citata nonché l’ultimo comma della stessa [1] prevedono un meccanismo di esclusione dalla comunione legale del bene acquistato col prezzo del trasferimento dei beni personali elencati dalla norma suddetta o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto da parte del coniuge non acquirente.

Nel caso in esame invece, l’acquisto avverrebbe mediante il ricavato di un mutuo stipulato da entrambi i coniugi che, pertanto, ricade pacificamente – per il principio generale citato all’inizio del presente parere – nella comunione legale.

La giurisprudenza della Cassazione, d’altronde, ha da tempo chiarito l’inammissibilità del cosiddetto “rifiuto del coacquisto” da parte di uno dei coniugi in comunione legale [2], vale a dire l’intervento in atto del coniuge che non vuole rendersi acquirente in base al principio generale dell’art. 177 cod. civ. per dichiarare, sulla scorta di un’interpretazione estensiva di quanto previsto dall’art. 179 lett. f) e ult. co., la propria rinuncia a divenire contitolare del bene.

Pertanto, se non si vuole procedere a stipulare prima dell’acquisto in parola un’apposita convenzione di separazione dei beni l’unica soluzione alternativa può essere quella di stipulare previamente una convenzione matrimoniale di comunione cosiddetta convenzionale ai sensi dell’art. 210 cod. civ. nella quale definire un’area di esclusione della comunione legale.

In altre parole tale convenzione dovrebbe avere a oggetto una serie potenziale di acquisti che, per caratteristiche omogenee individuate dai coniugi, vengono convenzionalmente tenuti al di fuori dell’operatività della comunione legale dei beni. Mediante tale stratagemma quindi e avendo cura di individuare una categoria di beni a partire dalle caratteristiche dell’immobile in procinto di essere acquistato, si potrebbe così escludere l’acquisto del bene in oggetto dalla comunione legale lasciando che l’acquisto venga materialmente perfezionato dal solo coniuge interessato all’intestazione del bene.

Tuttavia occorre tenere a mente che la suddetta convenzione non può avere a oggetto un bene specifico ma, essendo appunto una vera e proprio convenzione matrimoniale (dunque, da annotare a margine dell’atto di matrimonio proprio come la separazione dei beni), opera programmaticamente per il futuro e per determinate categorie di bene individuate concordemente dai coniugi.

Diversamente infatti la suddetta convenzione rischierebbe di essere nulla poiché contraria alle norme inderogabili in tema di disciplina della comunione legale dei beni.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Enrico Braiato

[1] Si riporta il testo integrale dell’art. 179 cod. civ. “Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:

a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;

b) i beni acquisiti successivamenteal matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;

c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;

d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;

e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;

f) i beni acquisiti col prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.

L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’art. 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.

[2] Cass. SSUU n. 22775/2009

Risparmio energetico: detrazioni 2018




Tutte le principali agevolazioni fiscali introdotte dall’ultima legge di bilancio per l’anno 2018.

Con il nuovo anno hai deciso di fare degli interventi sulla tua casa ma vorresti risparmiare sulle spese. Vuoi mantenere gli ambienti freschi d’estate e caldi d’inverno, magari sostituendo gli infissi e montando una caldaia di ultima generazione. La nuova legge di bilancio del 2018 [1] fa per te. La legge infatti ha rinnovato le detrazioni per il risparmio energetico negli edifici esistenti. Nell’attesa che vengano pubblicati i decreti con cui il Ministero dello sviluppo economico chiarirà le procedure, vediamo il tipo di interventi ammessi e il risparmio che è possibile ottenere per ciascuno di essi.

Chi ha diritto alle detrazioni

I proprietari degli immobili, piuttosto che coloro che lo detengono in forza di un contratto di affitto o comodato (siano essi persone fisiche, società, professionisti, imprese) che, tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2018, realizzeranno a proprie spese lavori edilizi per ridurre il consumo di calore negli edifici già esistenti, possono portare in detrazione la spesa sostenuta dall’irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) o dall’ires (imposta sul reddito delle società). La percentuale (aliquota) della spesa da portare in detrazione nella dichiarazione dei redditi del prossimo anno varia a seconda del tipo di intervento.

Gli interventi su edifici esistenti, possono interessare l’intero edificio, alcune parti di esso o singole unità immobiliari a prescindere dalla categoria catastale (anche rurale). Queste agevolazioni non si applicano quindi alle costruzioni non ancora realizzate.

In generale le detrazioni 2018 per il risparmio energetico vengono riconosciute se le spese saranno sostenute dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018, per i seguenti interventi [2]:

  • riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento dell’intero edificio;
  • miglioramento delle prestazioni termiche dell’involucro dell’edificio (attraverso la  coibentazione di solai, pareti o la sostituzione di serramenti o parti di essi o l’installazione di schermature solari);
  • installazione di pannelli solari;
  • sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale;
  • installazione di sistemi di building automation (dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti termici).

Le nuove agevolazioni

Le principali novità sulle detrazioni 2018, riguardano la riduzione dell’aliquota di detrazione al 50% per la spesa di risparmio energetico, nei seguenti intreventi:

  • sostituzione di finestre comprensive d’infissi;
  • schermature solari;
  • caldaie a biomassa;
  • caldaie a condensazione, che continuano ad essere ammesse purché abbiano un’efficienza media stagionale almeno pari a quella necessaria per appartenere alla classe A di prodotto prevista dal regolamento (UE) n.18/2013. Le caldaie a condensazione possono, tuttavia, accedere alle detrazioni del 65%se oltre ad essere in classe A sono dotate di sistemi di termoregolazione evoluti appartenenti alle classi V, VI o VIII della comunicazione della Commissione 2014/C 207/02.

Le agevolazioni confermate per il 2018

Resta confermata per il 2018 la detrazione del 65%  per gli interventi di risparmio energetico, fino a 100.000 euro di spesa, per:

  • interventi di coibentazione delle facciate dell’edificio;
  • pompe di calore;
  • sistemi di building automation (dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti termici);
  • collettori solari per produzione di acqua calda;
  • scaldacqua a pompa di calore;
  • generatori ibridi, cioè costituiti da una pompa di calore integrata con caldaia a condensazione, assemblati in fabbrica ed espressamente concepiti dal fabbricante per funzionare in abbinamento tra loro;
  • generatori d’aria a condensazione;
  • micro-cogeneratori.

Le spese nei condomìni

Restano infine confermate le detrazioni per il 2018 al 70% e al 75% (a seconda del tipo di intervento) per gli interventi di risparmio energetico nei condomìni, con il limite di spesa di 40.000 euro moltiplicato per il numero di unità immobiliari che compongono l’edificio. Qualora gli stessi interventi siano realizzati in edifici appartenenti alle zone sismiche 1, 2 o 3 e siano finalizzati anche alla riduzione del rischio sismico determinando il passaggio a una classe di rischio inferiore, è prevista una detrazione dell’80%. Con la riduzione di 2 o più classi di rischio sismico la detrazione prevista passa all’85%. Il limite massimo di spesa consentito, in questo caso passa a 136.000 euro, moltiplicato per il numero di unità immobiliari che compongono l’edificio.

Un esempio pratico

Facciamo un esempio: un professionista che nella dichiarazione dei redditi 2019 dovrà versare 3.000 euro di irpef, ma nel 2018 ha pagato 10.000 euro per montare le pompe di calore nel proprio studio, potrà portare in detrazione il 65% della spesa (6.500 euro). L’importo va poi diviso per il numero di anni (10) in cui viene restituito (quindi 650 euro all’anno). Nel 2019 quindi il nostro professionista pagherà meno di quanto avrebbe dovuto, poiché ha sostenuto una spesa ammissibile dalla legge. Verserà quindi euro 2.350 (3.000 – 650 euro). Negli anni seguenti (fino al 2028) continuerà  a sottrarre al dovuto irpef lo stesso importo (650 euro).

La Legge per tutti|Daniele Di Leo

Mutui: come scegliere i tassi e a chi conviene rottamare ed estinguere




La scelta del mutuo è molto importante. Adesso che i tassi cominciano a cambiare tendenza, vediamo che scelta fare e a chi conviene rottamare ed estinguere.

Come evidenziato dall’Economia del Corriere della Sera, il mutuo indicizzato va quindi scelto con prudenza e solo se si hanno le riserve per sostenere un incremento sensibile della rata. Chi cerca il mutuo dovrebbe sempre scegliere la durata minore sostenibile, ma oggi non necessariamente deve chiedere il minimo indispensabile. Ai valori attuali, infatti, si può anche chiedere qualcosa in più perché se si sta all’interno del rapporto 70% tra cifra richiesta e valore della casa i tassi variano di poco o nulla. E’ poi importante la scelta della banca: non bisogna fermarsi a confrontare solo tassi nominali e rate. Un primo passo è verificare il tasso effettivo e poi informarsi sugli altri costi che non compaiono nel tasso effettivo, perché non quantificabili con sicurezza

Contemporaneamente all’accensione del mutuo, ad esempio, la banca chiede di norma l’apertura di un conto corrente, ma i costi tra un prodotto e l’altro possono variare anche di centinaia di euro all’anno. Un altro aspetto da prendere in considerazione riguarda poi le polizze accessorie, in particolare quelle sulla vita, invalidità, rischio disoccupazione.

Le domande di surroga stanno diminuendo, ma rappresentano ancora un quinto del mercato. Ci sono ancora quattro tipologie di debitori spinti a effettuare il cambio in corsa:

  1. i ritardatari – sono i mutuatari che per pigrizia o poca informazione non hanno ancora effettuato il cambio. La convenienza della surroga è massima per chi ha in corso un mutuo fisso stipulato a tasso superiore al 3% o un variabile con spread superiore al 2%;
  2. chi vuole ridurre la durata – se si vuole cambiare il numero di rate per il rimborso del mutuo la surroga non è indispensabile perché ci si può accordare in tal senso con la propria banca senza dover fare un nuovo atto notarile (questo serve per consolidare l’ipoteca, mentre il contratto di mutuo è una scrittura privata); se la banca non accorda la modifica si può considerare il passaggio a un altro istituto;
  3. chi vuole allungare la durata – al contrario aumentando il numero di rate residue si può alleggerire in misura notevole il costo mensile, ma se la banca a cui ci si rivolge per surrogare ritiene che l’operazione sia fatta perché ci sono difficoltà economiche non concede il benestare;
  4. chi vuole passare da variabile a fisso – non è un’operazione conveniente in senso stretto, ma su durate brevi e medie costa poco e ha risvolti psicologici non trascurabili.

Quando si prende in considerazione l’ipotesi di estinguere un mutuo in anticipo, bisogna valutare innanzitutto se per chiudere il finanziamento bisogna impiegare tutti i propri risparmi o no. Se sì, bisogna anche valutare il fatto che se vi fosse un’improvvisa necessità un prestito personale costerebbe più del mutuo attuale. In questo caso un’opzione praticabile potrebbe essere quella di effettuare un’estinzione solo parziale del debito, che, come accade con la chiusura definitiva, non è gravata da penali purché il finanziamento sia stato avviato dopo il 2 febbraio 2007. Un secondo aspetto è il tasso del mutuo: se si tratta di un finanziamento che ha alle spalle un po’ di anni ed è a tasso fisso oltre il 2,5% o variabile con uno spread superiore al 2% l’estinzione, almeno parziale, appare consigliabile perché gli strumenti di investimento sicuri a dieci anni oggi rendono attorno all’1,5% reale: se ho in corso un mutuo al 3% è come dire, banalmente, che sto investendo soldi al 3%.

Se invece il mutuo ha tassi in linea con quelli praticati oggi, il discorso è più complesso. Nell’ipotesi di un mutuo che il 1° febbraio scorso avesse un debito residuo di 100mila euro, da restituire in dieci anni al tasso fisso del 2%, la rata mensile è di 920,13 euro, con un esborso complessivo (tenendo conto delle detrazioni Irpef) di 108.437 euro nel decennio. Se i 100mila euro si investissero, il Btp con scadenza febbraio 2028 ha cedole al 2% e il 1° febbraio comprato a mercato rendeva il 2,12% lordo. Al netto delle tasse in 10 anni si incassano 116.639 euro, ipotizzando imposte costanti e tenendo il titolo fino a scadenza. C’è quindi un piccolo vantaggio (7.800 euro nel decennio) che si somma a quello di avere una somma sempre disponibile. Bisogna però considerare il risvolto psicologico dato dal fatto di togliersi un debito.

fonte idealista

domenica 11 febbraio 2018

Eredità e diritto di prelazione tra coeredi



Io e mio zio siamo coeredi di un immobile che io voglio vendere. Devo riservare a mio zio il diritto di prelazione? Come posso fare concretamente a palesare in maniera ufficiale a mio zio il mio interesse di vendere quantificando una cifra che io ritengo congrua? Come mi devo comportare qualora mio zio dovesse rifiutare la mia proposta, o dovesse tergiversare, o dovesse decidere di non rispondermi? Quale tipo di mezzo devo utilizzare per comunicargli questa informazione? Qualora mio zio non si esprimesse a riguardo, oppure mi dicesse di non volere comprare la mia parte di proprietà, oppure addirittura mi dicesse di volersi opporsi alla vendita, posso comunque io vendere le mie quote ad una terza persona? In questo caso quindi quali sono le operazioni che io posso ufficialmente svolgere per forzare la vendita delle mie quote delle tre unità immobiliari ad una terza persona? Quale è, infine, il tasso di probabilità di riuscire a vendere un bene in comproprietà qualora uno dei due proprietari non volesse vendere? Eventualmente, per non rovinare i rapporti familiari, esiste l’eventualità di dividere i beni in maniera equa di modo che poi io possa vendere in maniera indipendente e libera la mia parte?

Nel rispondere al quesito si deve innanzitutto dire che, come è ovvio che sia, nessuno può obbligare lo zio del lettore a vendere la propria quota di proprietà dei beni ereditati oppure ad acquistare da lui la sua quota.

Al contrario è sicuramente possibile che il lettore decida di vendere la sua quota a terzi estranei e, nel caso in cui questi reperisse un potenziale acquirente, trattandosi di una comunione ereditaria tra lui e suo zio, sarà obbligato al rispetto dell’articolo 732 del codice civile (la norma che appunto disciplina il diritto di prelazione tra coeredi in caso di vendita della quota ereditaria).

L’articolo 732 del codice civile stabilisce che il coerede che vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa deve notificare agli altri coeredi (cioè nel caso di specie, allo zio del lettore) la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, perché gli altri coeredi decidano se esercitare il diritto di prelazione.

Gli altri coeredi (lo zio) hanno due mesi di tempo da quando hanno ricevuto la proposta di alienazione per dichiarare se intendono esercitare il diritto di prelazione: in caso di risposta positiva sarà lo zio del lettore ad acquistare la quota di quest’ultimo (ovviamente alle condizioni indicate nella proposta di alienazione), altrimenti il lettore sarà libero di vendere la sua quota al terzo con cui aveva avviato le trattative e raggiunto l’accordo (poi da sottoporre per legge a suo zio per consentirgli di esercitare il suo diritto di prelazione).

Come si nota il diritto di prelazione sorge nel momento in cui il lettore avrà effettivamente trovato un potenziale acquirente della sua quota e avrà raggiunto con lui un accordo sul prezzo di vendita; sarà solo in quel momento che il lettore dovrà inviare a suo zio il testo dell’accordo raggiunto con il potenziale acquirente (accordo contenente anche il prezzo di vendita) affinché lo zio decida, nei due mesi di tempo che la legge gli assegna, se acquistare lui a quel prezzo o se non esercitare il suo diritto di prelazione.

Chiarito questo punto occorre anche aggiungere che se dal punto di vista legale è perfettamente possibile e lecito vendere la quota indivisa di eredità, è dal punto di vista commerciale che l’affare si complica in quanto non è facile trovare sul mercato persone intenzionate ad acquistare quote di proprietà immobiliari e non l’intera proprietà di essi.

Un’alternativa alla vendita della quota è quella di procedere alla divisione ereditaria cioè a quell’atto che consente di sciogliere la comunione ereditaria e con il quale si assegnano in proprietà esclusiva (al 100% cioè) ai coeredi i beni ereditari secondo le porzioni individuate nell’atto di divisione amichevole (dinanzi ad un notaio) oppure nella sentenza a seguito di divisione giudiziale.

Ciò vuol dire che il lettore può:

– o mettersi d’accordo con suo zio sul modo con il quale dividersi i beni ereditati da sua nonna (la cosiddetta divisione amichevole che avviene con atto notarile ovviamente a seguito di un progetto di divisione dei beni redatto da tecnici incaricati di comune accordo);

– oppure, se non sarà possibile trovare un accordo con lo zio per una divisione amichevole dei beni ereditati, ricorrere al giudice (ovviamente con l’assistenza di un legale) chiedendo la divisione giudiziale dei beni ereditati con un procedimento che richiede tempi abbastanza lunghi (si noti che ogni coerede ha sempre diritto di chiedere al giudice lo scioglimento della comunione ereditaria e, quindi, la divisione di essi).

Se nella divisione amichevole (cioè con contratto stipulato dinanzi al notaio) le parti sono libere di procedere alla divisione dei beni secondo il loro libero accordo (procedendo anche eventualmente a conguagli in danaro), nella procedura dinanzi al giudice si dovranno stimare i beni e poi individuare le quote da assegnare a ciascun coerede e corrispondenti alla quota di diritto che spettavano agli eredi nella comunione ereditaria (nel caso di specie, 50% e 50%): ciò vuol dire che nel corso del processo di divisione si dovranno formare porzioni dei beni di valore corrispondente alla quota che ciascun coerede aveva durante la comunione.

La divisione dinanzi al  giudice quindi si effettuerà, se gli immobili possono essere comodamente divisi in parti corrispondenti alle quote, assegnando ciascuna di queste parti in proprietà esclusiva(100%) ai coeredi.

Se, invece, gli immobili non sono divisibili in parti esattamente corrispondenti alle quote, si può procedere o alla vendita di essi ad un terzo (e gli eredi si divideranno il ricavato), oppure attribuendo tutto l’immobile ad uno dei coeredi (che darà all’altro coerede un conguaglio in danaro).

Una volta che la divisione (amichevole o giudiziale) sarà stata effettuata, il lettore sarà proprietario esclusivo (al 100% cioè) della porzione che gli sarà stata assegnata e potrà vendere i beni rientranti nella sua porzione a chiunque voglia (senza più alcun diritto di prelazione a vantaggio di suo zio).

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte  La Legge per tutti|Redazione

Dove si possono costruire case in legno



Si vedono spesso nei programmi Tv americani, ma stanno diventando un must anche in Italia: ecco dove è possibile costruire le adorabili case in legno

Siete affascinati della grazia e del calore trasmessi da quelle deliziose casette in legno prefabbricate, che si vedono spesso nelle immagini dei tessuti urbani nordeuropei e americani? Come darvi torto, sono compatte, colorate al punto giusto, con un effetto legnoso che fa tanto atmosfera calda da camino di casa. In più sono una vera e propria rivoluzione per il nostro territorio, abituato da secoli a possenti costruzioni in cemento e mattoni. Sono amiche dell’ambiente, a basso impatto energetico e si costruiscono nel giro di poche settimane, proprio perché vengono realizzate con prezzi costruiti in precedenza e assemblati. Detta così però sembra di essere in procinto di costruire una casetta delle bambole – carina e precaria – da montare e smontare a nostro piacimento e da posizionare ovunque vogliamo: sulle sponde del lago vicino casa, sul cucuzzolo della montagna dove andiamo di solito a sciare, sotto gli ulivi della campagna del nonno, nel mega giardino di una villa. Ma è proprio così? Il solo fatto che sia un prototipo diverso e più snello delle costruzioni in muratura le dà il diritto di liberarsi da ogni vincolo? Scopriamo insieme dove si possono costruire le case in legno.

Case in legno e in muratura: che differenze ci sono?

La prima grande differenza che notiamo tra una casa in legno e una in muratura è ovviamente la modalità con cui viene realizzata. Le case prefabbricate in legno vengono realizzate assemblando materiali precedentemente costruiti. Non c’è quindi tutto il lavoro cementizio caratteristico delle nostre tradizionali casone in laterocemento, e per questo il rischio di vedere i costi lievitare si riduce di molto. Il materiale principe utilizzato è – ovviamente – il legno, che viene affiancato al vetro per le finestre e all’acciaio. Inoltre si costruiscono nel giro di poche settimane di cantiere

La tradizionali case in muratura invece vedono il cemento e il laterizio come elementi portanti dell’abitazione. Quando diciamo che l’investimento sul mattone è il più sicuro, significa davvero che nel nostro immaginario collettivo è la casa in muratura l’unica degna di essere costruita. Invece no, sempre di più nei prossimi anni dovrà giocarsela con il legno. Diciamo poi che, al contrario delle casette in legno, il cantiere per i lavori di costruzione di una casa in muratura può anche durare molti mesi.

Un’altra differenza fondamentale tra le due soluzioni è che le case in legno sono davvero amiche dell’ambiente: sono green, non fanno praticamente alcun male all’ambiente perché non c’è utilizzo di materiali potenzialmente nocivi. Inoltre consentono un risparmio energetico davvero importante, dovuto al grande utilizzo di pareti termoisolanti, impianti a energia rinnovabile, e materiali compatibili. Insomma, sono il sogno di ogni ferreo ambientalista.

Case in muratura: quali obblighi edilizi ci sono?

In gergo quando vogliamo costruire una casa diciamo che la prima cosa da fare è chiedere i permessi. In effetti è proprio così. Quella che una volta era la concessione edilizia ora si chiama Permesso di costruire [1]: il titolo che, una volta richiesto al Comune e rilasciato, ti abilita a realizzare la tua nuova casa. Ovviamente devi essere in possesso di un terreno edificabile per poterci costruire sopra la tua casa. Deve sempre essere controllata l’edificabilità del terreno e la presenza di vincoli urbanistici.

Assieme alla richiesta del Permesso di costruire deve anche essere allegato il progetto redatto da un professionista abilitato (ingegnere, geometra o architetto), che in quell’occasione diventerà il tuo direttore dei lavori. Lo stesso direttore dei lavori allegherà al progetto tutta la documentazione che il Comune richiede e che lui conosce, ad esempio la Dia (la denuncia di inizio attività).

Per ogni libera iniziativa che il cittadino ha, ai Comuni piace tanto chiedere una cosa: il pagamento di qualche tassa o onore. Anche in questo caso, per ottenere il Permesso devi versare gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione.

Il progetto sarà poi sottoposta al parere di una Commissione edilizia, che lo può approvare oppure approvare con modifiche oppure ancora respingerlo.

Case in legno: quali obblighi edilizi ci sono?

Perché nel primo paragrafo non abbiamo analizzato anche le differenze tra case in legno e muratura in termini autorizzazioni da chiedere? Semplice, perché non ce ne sono. Che tu voglia costruire una casa in cemento e mattoni oppure in legno, non puoi esimerti dalle trafile burocratiche che l’amministrazione pubblica ti impone: permessi di costruire, progetto, Dia e tutte le altre documentazioni che serviranno [2].

Le case in legno prefabbricate non sono oggetti montabili e smontabili precari. Sono a tutti gli effetti edifici, ancorati alle fondazioni e non ha senso quindi ritenerle fuori dagli obblighi di edificabilità. Per questo, se vogliamo costruirle, dobbiamo chiedere gli stessi identici permessi e autorizzazioni di qualsiasi altra opera edilizia.  Fermo restando il fatto che i regolamenti possono essere diversi in base al Comune in cui si vuole costruire.

Dove si possono costruire le case in legno?

Tornando alla nostra domanda su dove sia possibile costruire case in legno, gli indizi ci sono tutti:

  • sono edifici al pari della case in muratura
  • sono ancorati alle fondazioni,
  • hanno lo stesso potere di ingombro (non pensate alla case in legno solo come le piccole casette chalet di montagna, le metrature possono anche essere molte ampie)
  • necessitano delle stesse autorizzazioni e concessioni edilizie

Un paese come il nostro, letteralmente avvolto dal problema di continui abusi edilizi, dove si costruisce ovunque in barba a normative e sicurezza, va da sé che devono essere rispettate le stesse regole anche in merito al luogo in cui possono essere costruite le case in legno. La presenza del legno e di materiali eco-compatibili non giustifica affatto gli scempi edilizi.

Vediamo dove possono case in legno:

  • Su terreni edificabili? Certo che si. In questo caso se stai optando per la costruzione di una casa in legno devi prima andare a verificare il piano regolatore e il piano particolareggiato del tuo Comune, per vedere se il terreno che hai o che hai in mente di acquistare siano edificabili o lo possano diventare.
  • Terreni agricoli? Dipende. Di norma sui terreni agricoli non si può costruire, perché per natura sarebbero destinati alla coltivazione della terra e all’allevamento. In realtà però se sei un coltivatore diretto e coltivi quel terreno allora puoi sbloccare il tutto, destinando la costruzione a ‘casa colonica’ e chiedendo il permesso di costruire con tutti i vincoli spiegati nei paragrafi precedenti.
  • Sui terreni inedificabili? Decisamente no. Sfatiamo il pregiudizio che la casa in legno possa essere costruita ovunque. Sui terreni inedificabili non si costruisce. Se lo fai commetti un abuso edilizio.

Una cosa è certa: non possiamo costruire dove ci pare e senza chiedere permessi.

Casa mobile e camper: devo avere la concessione?

E che succede con la casette prefabbricate mobili, le roulotte e i camper? Il problema è l’ancoraggio al suolo. Come abbiamo visto, per ogni costruzione edilizia deve essere concesso il relativo permesso affinché possa essere ancorata al suolo. Unica eccezione viene prevista per tutte quelle case mobili, camper e roulotte che vengono ancorate all’interno delle strutture ricettive, all’aperto e in via esclusivamente temporanea [3]. Il terreno deve comunque avere il requisito della destinazione turistica.

Se da temporanee diventano permanenti o stagionali vanno comunque richiesti gli stessi permessi e le stesse concessioni di una normale casa in muratura. E questo anche se la casa non viene ancorata al terreno ma resta su gomma.

Se il nostro ancoraggio al suolo non è temporaneo, e vogliamo mettere la nostra casetta nel giardino immenso di casa nostra, serve il permesso di costruire.

|Chiara Arroi

Maggiorazione Tasi 2018, quando il Comune non può applicarla


Notizie immobiliari|condominioweb (collaboratore di idealista news)

Come illustrano i nostri collaboratori di condominioweb, il Comune perde la facoltà di dare applicazione alla maggiorazione Tasi se non rispetta i termini di adozione e pubblicazione della delibera. Ma vediamo tutto bene nei dettagli.

La maggiorazione "straordinaria": le condizioni d'efficacia. Prima di affrontare il caso di specie, ricostruiamo rapidamente il quadro normativo di riferimento. Con la legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296,art. 1, comma 169) si è innanzitutto stabilito che «Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione.

Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento.

In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno».

La regola da ultimo riferita ha però subito una deroga espressa, generando una situazione non sempre chiarissima: la legge 28 dicembre 2015, n. 208, come modificata dalla legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) ha disposto all'art. 1, comma 26, che «Al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica, per gli anni 2016 e 2017 è sospesa l'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015».

Tuttavia, ai Comuni si è consentito di mantenere, per l'anno 2016, la maggiorazione dello 0,8‰, prevista dalla legge per gli anni 2014 e 2015, a condizione che l'avessero stabilita per tale ultimo anno con riferimento alle fattispecie non esenti dalla TASI dal 2016 [ossia altri immobili diversi dall'abitazione principale] e fosse stata adottata un'espressa delibera confermativa del Consiglio comunale entro il 30 aprile, data ultima per l'approvazione dei bilanci preventivi 2016: «Per l'anno 2016, limitatamente agli immobili non esentati ai sensi dei commi da 10 a 26 del presente articolo, i comuni possono mantenere con espressa deliberazione del consiglio comunale la maggiorazione della TASI di cui al comma 677 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella stessa misura applicata per l'anno 2015»(art.1, comma 28, l. n. 208/2015).

Al riguardo, si rammenta che la maggiorazione Tasi era stata inizialmente prevista per il solo anno 2014 ed eccezionalmente riconfermata per il 2015; nel 2016, come indicato, si è permesso ai Comuni di mantenere la maggiorazione TASI per i soli immobili non esenti e con espressa delibera comunale.

La possibilità di applicare la maggiorazione è stata estesa anche per il 2017: stante la proroga del blocco degli aumenti di aliquote tributarie per l'anno 2017, il ricorso alla facoltà di variazione in aumento delle aliquote dell'IMU e della TASI dopo il 31 marzo 2017 ed entro il 31 luglio 2017 è circoscritto al caso in cui il Comune aumenti le aliquote rispetto a quelle vigenti nell'anno 2016 (ma non - si ribadisce - rispetto a quelle vigenti nell'anno 2015), nonché al caso in cui il Comune, trovandosi in situazione di predissesto ai sensi dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267/2000, abbia disposto l'aumento delle aliquote in deroga al blocco. (Si evidenzia che la conferma di questo prelievo, istituito temporaneamente dal 2014, consente ad un gran numero di Comuni il mantenimento dei livelli di gettito preesistenti all'istituzione della TASI.)

Specificamente, l'operatività della maggiorazione per il 2017 è subordinata alle seguenti condizioni:

  • adozione della delibera comunale entro il 31 marzo 2017;
  • pubblicazione della delibera di approvazione sul sito internet www.finanze.it entro il 28 ottobre 2017;
  • misura dell'aliquota fissata per la singola fattispecie impositiva non superiore rispetto a quella applicabile nell'anno 2015.

Pertanto, sia nel caso in cui si riscontri che la delibera sia stata approvata dal Comune oltre il termine del 31 marzo 2017, sia nell'ipotesi in cui manchi una delibera dell'IMU e della TASI pubblicata per l'anno 2017, oppure la delibera sia stata pubblicata oltre la data del 28 ottobre 2017, il versamento del saldo deve essere effettuato sulla base delle aliquote vigenti nell'anno 2016: la pubblicazione delle delibere sul sito indicato entro il 28 ottobre di ciascun anno costituisce condizione affinché le stesse acquistino efficacia per l'anno di riferimento.

Qualora poi emerga che la delibera pubblicata per l'anno 2017 stabilisca, per una o più fattispecie, un aumento delle aliquote dell'IMU o della TASI rispetto all'anno 2015, tale aumento è inefficace ai sensi del citato art. 1, comma 26, l. n. 208/2015, con la conseguenza che il versamento deve essere effettuato sulla base dell'aliquota deliberata nell'anno 2016, eccetto il caso in cui essa costituisca a sua volta un aumento rispetto all'anno 2015.

La legge di bilancio 2017 ha infatti modificato il comma 28 dell'art. 1 aggiungendo il seguente periodo: «Per l'anno2017, i comuni che hanno deliberato ai sensi del periodo precedente possono continuarea mantenere con espressa deliberazione del consiglio comunale la stessa maggiorazione confermata per l'anno 2016».

Il casoL'intreccio di norme ha reso la fattispecie, sul piano procedurale, piuttosto complessa, generando condotte non sempre regolari, come nel caso di specie. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha infatti proposto ricorso, al fine di ottenerne l'annullamento,contro le deliberazioni del Commissario Straordinario del Comune di Frascati n. 4 del 17 ottobre 2016, di salvaguardia degli equilibri di bilancioper l'esercizio finanziario 2016, e n. 13 del 31 marzo 2017, di determinazione delle aliquote del tributo per i servizi indivisibili (TASI) per l'anno 2017, trasmessegli mediante inserimento nel Portale del federalismo fiscale il 19 luglio 2017.

Il Ministero ha specificato dedotto la violazione del citato art. 1 comma 28 della l.n. 208/2015, che, come indicato, disciplina l'applicazione in via straordinaria della maggiorazione dellaTASI di cui all'art. 1, comma 677, terzo periodo, della l.n. 147/2013 per gli anni 2016 e2017.

Come ricorda il giudice nella sentenza in commento, l'articolo in questione consenteai Comuni di applicare, successivamente al2015, la maggiorazione della TASI a due condizioni:

  • per l'anno 2016, a condizione che la maggiorazione sia stata applicata nell'anno 2015 ed espressamente confermata per l'anno2016 con apposita deliberazione consiliare;
  • per l'anno 2017, a condizione che la maggiorazione sia stata applicata nel 2015 ed espressamente confermata con deliberazione consiliare sia nel 2016 che nel 2017.

    Occorre tenere ben presente questo aspetto: ai sensi del comma 28 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, qualora nell'anno 2015 fosse stata prevista dal comune la maggiorazione della TASI dello 0,8 per mille, la stessa può essere applicata nell'anno 2017 solo se espressamente confermata nell'anno 2016.

Pertanto, ai fini dell' applicazione delle aliquote sin dal 1° gennaio dell'anno di imposta di riferimento, l'iter di approvazione delle relative delibere deve avvenire secondo il meccanismo delineatodall'art. 1, comma 169, della l.n. 296/2006, entro il termine per l'adozione del bilancio di previsione: esso, si rammenta, coincide di norma con il 31 dicembre dell'anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce, sebbene esso venga generalmente differito ad una datasuccessiva con disposizione normativa o con decreto del Ministro dell'Interno.

Nell'ipotesi poi di ripristino degli equilibri finanziari, il termine è il 31 luglio di ogni anno.

Inoltre - chiarisce il T.A.R. -,l'efficacia delle deliberazioni dei Comuni di determinazione delle aliquote TASI decorre,a norma dell'art. 1, comma 688, della l.n. 147/2013,dalla data di pubblicazione nelsito www.finanze.it., che (sempre in base a tale disposizione) deve avvenireentro il 28 ottobre(con trasmissione da partedei Comuni al MEF esclusivamente in via telematica, mediante il Portale del federalismo fiscale entro il 14 ottobre).Solo rispettando le condizioni e i termini indicati, le aliquote acquistano efficacia nell'anno in corso.

Nella fattispecie in esame, la delibera del Commissario che confermava, per il 2016, la maggiorazione dello 0,8 per mille, applicata alle stesse fattispecie imponibili del 2015, era stata approvata il 7 ottobre 2016 - oltre quindi il termine del 31 luglio 2016 - e non era stata pubblicata entro il 28 ottobre 2016: di entrambi i termini la costante giurisprudenza ha sancito la perentorietà (tra le tante, il T.A.R. segnala in motivazione Cons. St. Sez. IV, 7.10.2016 n.4434 e Sez. V, 17.07.2014 n. 3808).

Inoltre, sebbene la delibera di adozione delle aliquote del tributo per i servizi indivisibili (TASI) per l'anno 2017 sia poi intervenuta nei termini - 31 marzo 2017 -, il Comune non potrà dare applicazione all'applicazione dello 0,8 per mille, sebbene prevista nel 2015.

In definitiva, il Comune aveva disposto la maggiorazione straordinaria nel 2015, ma nel 2016 non vi aveva dato conferma entro i termini imposti; l'inoperatività dell'aumento dell'aliquota con riferimento al 2016 esclude, a cascata, che il Comune vi possa dare attuazione nel 2017.

Come si è infatti ricordato, nel 2016 e nel 2017 i Comuni avrebbero potuto mantenere la stessa maggiorazione disposta nel 2015, a patto che la medesima fosse stata espressamente confermata, con delibera comunale, per l'anno 2016 e, successivamente, nel 2017: nel caso di specie, l'inefficacia dell'adozione nel 2016 si è estesa, per derivazione, al 2017, poiché "La tardiva approvazione e pubblicazione della deliberazione relativa alla maggiorazione della TASI per l'anno 2016 comportano, nel complesso sistema delineato, non la conservazione del livello impositivo precedente, ma, nella particolare ipotesi in questione (della cd.maggiorazione straordinaria), l'inapplicabilità per tale anno della maggiorazione stessa, ancorché prevista nel 2015, e la definitiva perdita per il Comune della facoltà di disporne l'applicazione nel successivo anno d'imposta 2017".

Mutui, in calo la domanda di a gennaio



Il fenomeno delle surroghe risulta in significativa contrazione e incide negativamente sulle richieste di mutui. La domanda, secondo la consueta analisi di Crif, nel mese di gennaio fa complessivamente registrare un -10,8% rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente.

importo medio mutuo richiesto

A mitigare l’andamento negativo delle richieste si segnala nel primo mese dell’anno una nuova crescita dell’importo medio, che si attesta a 125.724 Euro (+3,7% rispetto a gennaio 2017), confermando il trend di costante incremento rispetto al 2017.

Relativamente alla distribuzione delle richieste per fasce di importo, a gennaio le preferenze degli italiani si sono orientate primariamente verso la classe compresa tra 100.001 e 150.000 euro, con una quota pari al 29,3% del totale.

Complessivamente si segnala il progressivo spostamento verso le fasce di importo più contenuto.

Distribuzione dei mutui per classe d'età

Per quanto riguarda la distribuzione delle richieste di nuovi mutui e surroghe in base alla durata, invece, nel mese di gennaio appena concluso è la classe compresa tra i 16 e i 20 anni di durata quella in cui si concentra la quota maggioritaria di richieste, con il 25,2% del totale, seguita dalla fascia tra i 26 e i 30 anni, con il 23,0%.

A fronte del quasi azzeramento delle richieste di durata inferiore ai 5 anni, fascia in cui tipicamente si concentrano le surroghe, continua lo spostamento delle richieste verso piani di rimborso sempre più lunghi, con oltre i 2/3 delle pratiche che prevede una durata superiore ai 25 anni.

fonte idealista

sabato 3 febbraio 2018

Chi eredita la casa comprata prima del matrimonio


Chi eredita la casa comprata prima del matrimonio

L’AUTORE: Maria Monteleone

Maria Monteleone


Casa acquistata prima del matrimonio: chi la eredita in caso di morte del proprietario? Quali diritti ha il coniuge superstite?

I beni acquistati prima del matrimonio non entrano in comproprietà (neppure qualora i coniugi abbiano adottato il regime di comunione dei beni), ma restano sempre e comunque di proprietà esclusiva del coniuge acquirente. Ciò comporta che, dopo la morte del coniuge esclusivo proprietario, l’altro coniuge superstite potrà vantare i diritti ereditari sull’immobile solo se previsti dal testamento o, in assenza di quest’ultimo, nella misura stabilita dalla legge.

Se l’immobile in questione è la casa coniugale, il coniuge superstite eredita in ogni caso il diritto di abitazione. Vediamo tutte le ipotesi.

Indice

Casa comprata prima del matrimonio: se c’è il testamento

Il testamento può prevedere che la casa comprata prima del matrimonio vada interamente al coniuge superstite. Una simile previsione è però legittima solo a determinate condizioni.

Se il coniuge superstite è erede universale

Se il de cuius muore senza lasciare genitori né figli, il testamento può prevedere come unico erede il coniuge superstite (erede universale). In questo caso non si pongono problemi di suddivisione dell’immobile, del quale il coniuge superstite può diventare tranquillamente l’esclusivo proprietario.

Se ci sono anche i figli e/o genitori del de cuius

Diverso è il caso in cui vi siano i figli e/o i genitori del de cuius. In tale ipotesi il testamento può prevedere che la casa comprata prima del matrimonio vada interamente al coniuge superstite, a condizione che non vengano lesi diritti degli eredi legittimari (appunto i figli e i genitori) ai quali spetta per legge una quota dell’eredità (cosiddetta legittima).

Ciò vuol dire che, solo se nell’asse ereditario, oltre alla casa, ci sono anche altri beni idonei a soddisfare la quota dei legittimari, l’immobile potrà essere trasferito esclusivamente al coniuge. Diversamente, esso dovrà essere diviso tra gli eredi legittimari.

Casa comprata prima del matrimonio: se non c’è il testamento

Se il de cuius non ha lasciato testamento, la casa acquistata prima del matrimonio entrerà nell’asse ereditario da dividere tra gli eredi legittimi, secondo le regole stabilite dal codice civile. Vediamo tutte le ipotesi.

  1. se c’è solo il coniuge e non ci sono figli, spetterà tutto a questi. L’eredità spetta anche al coniuge separato se a quest’ultimo non sia stata addebitata la separazione nella sentenza di separazione. Ciò ovviamente non vale invece nel caso di coniuge divorziato.
  2. se ci sono coniuge e figli (legittimi, naturali o adottivi), bisogna distinguere: 1) se il figlio è uno solo: una metà dei beni del defunto spetta al coniuge e l’altra metà al figlio; 2) se i figli sono più di uno: 1/3 dell’eredità spetta al coniuge e i residui 2/3 vanno divisi, in parti uguali, tra i figli.
  3. se non c’è il coniuge superstite e vi sono solo uno o più figli, l’eredità spetta per intero al figlio unico o, in parti uguali, a tutti i figli. Anche in questo caso, nulla spetta a fratelli, sorelle o altri parenti.
  4. se non ci sono figli né coniugi, ma altri discendenti (per es.: i nipoti, ossia i figli dei propri figli), tutta l’eredità spetta, in quote uguali, a questi ultimi.
  5. se al defunto sopravvivono il coniuge e/o fratelli/sorelle legittimi (o loro discendenti) e/o genitori e, nello stesso tempo, non vi sono figli (o i figli non sono superstiti), né altri discendenti (come i nipoti): 2/3 dell’eredità vanno al coniuge e 1/3 ai fratelli, sorelle e genitori.
  6. se non ci sono nè coniugi, né figli, né altri discendenti, né fratelli/sorelle, né genitori, ma lascia altri ascendenti (per es. nonni), i suoi beni andranno per metà agli ascendenti della linea paterna e, per l’altra metà, agli ascendenti della linea materna. Ciò purché si tratti di ascendenti di grado uguale (per es., se rimangono due nonni, uno paterno e uno materno). Se, invece, gli ascendenti siano di grado diverso (un nonno e una bisnonna), eredita solo l’ascendente più prossimo (in questo caso, il nonno).
  7. se il defunto lascia solo parenti dal terzo al sesto grado, succedono solo quelli più prossimi (per primi gli zii, poi i cugini, i prozii, ecc.) in quote uguali.
  8. se non ci sono neanche parenti, tutta l’eredità (e quindi anche gli immobili) passa in proprietà allo Stato.

Diritto di abitazione coniuge superstite

Si precisa che, se l’immobile comprato dal de cuius prima del matrimonio è stato adibito a casa coniugale, a prescindere da chi l’avrà in eredità, il coniuge superstite vanta su di essa il diritto di abitazione e di uso dei mobili che la arredano. Difatti il codice civile statuisce che, al coniuge sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

Bonus mobili e lavori di ristrutturazione, per quali interventi si ha diritto alla detrazione



Per usufruire della detrazione del 50% per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici è necessario realizzare una ristrutturazione edilizia sia su singole unità immobiliari residenziali sia su parti comuni di edifici. Vediamo quali sono i lavori che danno diritto al bonus.

Gli interventi edilizi necessari per avere la detrazione sono:

  • manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione
  • edilizia su singoli appartamenti. I lavori di manutenzione ordinaria su singoli
  • appartamenti (per esempio, tinteggiatura di pareti e soffitti, sostituzione di pavimenti,
  • sostituzione di infissi esterni, rifacimento di intonaci interni) non danno diritto al bonus
  • ricostruzione o ripristino di un immobile danneggiato da eventi calamitosi, se è stato dichiarato lo stato di emergenza
  • restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che entro 18 mesi dal termine dei lavori vendono o assegnano l’immobile
  • manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia su parti comuni di edifici residenziali.

Esempi di lavori su singoli appartamenti o parti condominiali che danno diritto al bonus

Manutenzione straordinaria

  • installazione di ascensori e scale di sicurezza
  • realizzazione dei servizi igienici
  • sostituzione di infissi esterni con modifica di materiale o tipologia di infisso
  • rifacimento di scale e rampe
  • realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate
  • costruzione di scale interne
  • sostituzione dei tramezzi interni senza alterazione della tipologia dell’unità immobiliare

Ristrutturazione edilizia

  • modifica della facciata
  • realizzazione di una mansarda o di un balcone
  • trasformazione della soffitta in mansarda o del balcone in veranda
  • apertura di nuove porte e finestre
  • costruzione dei servizi igienici in ampliamento delle superfici e dei volumi esistenti

Restauro e risanamento conservativo

  • adeguamento delle altezze dei solai nel rispetto delle volumetrie esistenti
  • ripristino dell’aspetto storico-architettonico di un edificio

Esempi di lavori di manutenzione ordinaria su parti condominiali che danno diritto al bonus:

  • tinteggiatura pareti e soffitti, sostituzione di pavimenti, sostituzione di infissi esterni, rifacimento di intonaci, sostituzione tegole e rinnovo delle impermeabilizzazioni, riparazione o sostituzione di cancelli o portoni, riparazione delle grondaie, riparazione delle mura di cinta

Polizze mutui: le assicurazioni obbligatorie e quelle facoltative

Contestualmente all'accensione di un mutuo è possibile stipulare delle polizze assicurative. Però bisogna fare molta attenzione alle proposte delle banche, perché solo una è obbligatoria, mentre le altre sono lasciate alla libera scelta del cliente.

L'unica assicurazione mutuo obbligatoria è quella furto-incendio. Serve a ripagare i danni subiti dall'immobile dato in garanzia del mutuo e provocati da eventuali incendi ed esplosioni dovuti a calamità naturali o altro.

Tra le polizze non obbligatorie ci sono quelle che tutelano la banca, e il mutuatario, in caso di rischio di insolvibilità, per decesso, malattia o perdita del lavoro. Per quanto riguarda quest'ultima tipologia, si tratta di una polizza facoltativa. E' importante ricordare che, per legge, la banca deve sottoporre all'aspirante mutuatario almeno altre due polizze oltre a quella dell'assicurazione convenzionata con l'istituto di credito. Inoltre, il cliente ha a disposizione 10 giorni per cercare in autonomia altre soluzioni.

Oltre al costo della polizza, bisogna sempre valutare altri elementi come le franchigie, le modalità di recesso, l'entità delle commissioni, le garanzie accessorie e le reali garanzie offerte. Tutti questi elementi servono a definire la reale convenienza di un finanziamento.

Per quanto riguarda l'erogazione dei rimborsi, l'assicurazione dovrà inviare una comunicazione alla banca e aspettare il suo via libera, prima di pagare l'assicurato.